La bella estate - Cesare Pavese

Credevo che sarei stata pronta a recensire La bella estate la settimana scorsa, appena finito il libro. Invece, una volta chiuso il volume, ho capito che mi stava sfuggendo qualcosa, che non avevo pienamente afferrato il senso dei tre racconti che hanno valso a Cesare Pavese il Premio Strega nel 1950. Finita la lettura, sapevo solo di aver letto tre belle storie, ma mi sono resa conto di non essermi sufficientemente concentrata sulla loro complessità. Ecco perché mi sono subito rimessa a leggere questo testo, acquistato in una bancarella del libro usato in villeggiatura e ancora segnato col nome delle precedenti proprietarie.

Paul Cézanne, I bagnanti a riposo
 
La seconda lettura ha avuto esiti decisamente entusiastici. Innanzitutto, conoscendo già la storia, ho potuto soffermarmi sulle lunghe e particolareggiate descrizioni che fanno di Pavese, oltre che un eccezionale romanziere, anche un bravissimo poeta. Inoltre ho compreso meglio i non detti, le allusioni, nonché l'incredibile contemporaneità di alcune considerazioni sociali valide ancora oggi.
I tre racconti (o, forse, sarebbe meglio dire romanzi brevi) che compongono La bella estate sono autonomi, ospitano personaggi e riflessioni diversi, ma sono anche molto legati, perché il messaggio di uno arricchisce quello dell'altro. I protagonisti, infatti, vivono nella medesima condizione di un tedio profondo, che li porta a non essere mai soddisfatti, a volere di più, a mettere in dubbio l'affidabilità del prossimo, a barcamenarsi fra giudizi morali e il riconoscimento delle libertà proprie e altrui.
Nel primo testo, La bella estate, si tratta di Ginia, una giovane donna che gode dell'estate, con le sue lunghe serata da passare passeggiando con le amiche e che, seguendo la più grande Amelia, inizia a frequentare la casa di due artisti, innamorandosi di uno di loro, Guido. La vicenda di Ginia è tutta costruita sull'antitesi fra il suo pudore e la spontaneità di Amelia, nonché sui giudizi che Ginia ha dell'amica, che, pure ammira per la sua disinvolta femminilità. L'estate cui allude il titolo non è, del resto, semplicemente una stagione, tanto più che gran parte della storia si svolge in inverno, ma, come da tradizione, rappresenta la giovinezza, il regno dell'incontaminato da cui Ginia finisce per staccarsi inseguendo un sogno, una speranza, un sentimento.
Quell’anno faceva tanto caldo che bisognava uscire ogni sera, e a Ginia pareva di non avere mai capito prima che cosa fosse l’estate, tanto era bello uscire ogni notte per passeggiare sotto i viali. Qualche volta pensava che quell’estate non sarebbe finita più, e insieme che bisognava far presto a godersela perché, cambiando la stagione, qualcosa doveva succedere.
Segue Il diavolo sulle colline, il più lungo dei tre racconti, nel quale sono descritte le avventure estive di tre giovani, il narratore e gli amici Oreste e Pieretto, anch'essi presi dalla smania di spremere l'estate, vivendone le nottate e passando le giornate all'aria aperta, in spiaggia, a sguazzare nel Po o sulle montagne. L'evento centrale della loro estate è l'incontro con Poli, un giovane di famiglia molto ricca che, dopo aver rischiato di essere ucciso da una delle sue numerose amanti, ospita i tre nella sua tenuta del Greppio, sulle colline piemontesi, dove vive con la moglie Gabriella. La vita di Poli e Grabiella sembra stipata all'inverosimile di compagnie e lussi finalizzati ad impedire la comunicazione fra i due, e Pavese affida a questo suo racconto, attraverso il narratore interno, una riflessione sulla vita, sui suoi controsensi, sul bisogno di cercarne il significato, sull'intimo senso di pace che solo il recupero di un autentico rapporto con la natura può offrire.
La cosa più bella era quando scendevamo alla grotta o alle vigne – mangiare la frutta selvatica, buttarci sull’erba, cuocerci al sole. C’era sempre una costa, un cantuccio, un groviglio di piante, che non avevo ancora visto, toccato, assorbito. C’era quel vago odor d’agosto, di salmastro terrestre, più forte che altrove. C’era il piacere di pensarci di notte, sotto la grande luna che diradava le stelle, e sentire ai nostri piedi, da ogni parte, la collina segreta che viveva la sua vita.
Clelia è invece la protagonista e narratrice dell'ultimo racconto, Tra donne sole. Ha poco più di trent'anni, è nata a Torino, ma vive da anni a Roma, dove lavora per un atelier che sta per aprire una nuova sede proprio nella città sabauda. Sul finire del carnevale, parte per Torino per sovrintendere ai lavori, ma, proprio durante la prima notte in albergo, assiste ad una scena inquietante: in corridoio si è radunato un gruppo di persone che accompagna una barella: una giovane donna di famiglia benestante - che scoprirà poi chiamarsi Rosetta Mola - ha tentato il suicidio con il veronal. Nei giorni seguenti Clelia viene introdotta nell'ambiente borghese e assiste a tutti i pettegolezzi a proposito dell'infelice Rosetta, fino a conoscerla personalmente grazie a Mariella, Nene e Momina, che invano tentano di far luce sui motivi dell'accaduto e sembrano non avere un reale affetto per la ragazza. Come Poli e Gabriella, anche Rosetta è immersa in un ambiente sociale di prestigio, feste, divertimenti, eppure non solo non ne sembra soddisfatta, ma addirittura vede in essi la causa della propria infelicità. Eppure l'unica a capire la sua condizione è Clelia, una donna indipendente e volitiva, che ha sempre preteso molto da se stessa, anche a costo di rifiutare le convenzioni sociali: farsi una famiglia, avere dei figli, frequentare le persone importanti.
La bella estate, nel complesso, è il racconto di una condizione continua di insoddisfazione, di ricerca della felicità, del male di vivere, di quel disagio che lo stesso autore non sarebbe riuscito a ricomporre e che lo avrebbe portato al suicidio il 27 agosto 1950 (in condizioni molto simili a quelle di Rosetta: una stanza d'albergo, barbiturici in quantità eccessive), appena due mesi dopo la conquista dello Strega.
Quando imboccai la larga strada e vidi in fondo la collina pezzata di neve e la chiesa della Gran Madre, mi ricordai ch’era carnevale. Anche qui, bancarelle di torrone, di trombette, di maschere e stelle filanti riempivano le arcate dei portici. Era fresco mattino ma già la gente formicolava verso la piazza in fondo, dove ci sono i baracconi.
La via era ancora più larga di come la ricordavo. La guerra aveva aperto una buca paurosa, sventrando tre o quattro palazzi. Sembrava un piazzale, un avvallamento di terra e di pietre, dove cresceva qualche ciuffo d’erba, e si pensava al camposanto. Il nostro negozio era qui, sull’orlo del vuoto, bianco di calce e senza infissi, in costruzione.
I tre racconti hanno ciascuno dei pregi che mi rendono difficile dire quale sia il migliore: La bella estate è quello con la vicenda più accattivante e il modo in cui Pavese tratteggia i vizi e il modo di lavorare degli artisti è molto particolare. Il diavolo sulle colline contiene le descrizioni natuali più ammalianti e, in certi momenti, nel parlare di Poli e Gabriella, rievoca alcune pagine dei romanzi di Fitzgerald, Il grande Gatsby e Tenera è la notte. Tra donne sole è invece la storia più originale, con il personaggio più complesso e più accurato nell'analisi psicologica: Clelia assume uno spessore incredibile, perché l'autore è riuscito a calarsi nel pensiero e nel carattere di una donna del secondo dopoguerra che inaugura la contemporaneità, che si mantiene da sola, che è attaccata al proprio lavoro, che esercita la propria indipendenza e, di conseguenza, riesce anche a cogliere i limiti del sentire comune, che condannano le persone deboli all'infelicità.
La collina sovrastante era bella al ritorno, fumando la prima pipa, e per quanto fosse giugno, a quell’ora la velava ancora un’umidità, un fiato fresco di radici. Fu sulle tavole di quella barca che presi gusto all’aria aperta e capii che il piacere dell’acqua e della terra continua al di là dell’infanzia, di là da un orto e da un frutteto. Tutta la vita, pensavo in quei mattini, è come un gioco sotto il sole.
C.M.

Commenti

  1. "Il Diavolo sulle Colline" è il racconto che mi manca della "Bella Estate", poi sapere che le pagine richiamano a Fitzgerald mi entusiasma ancora di più. Pongo questo trittico tra le opere più belle della nostra letteratura.

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    1. Non posso che darti ragione, anzi, oltre che una delle opere più belle della nostra letteratura, finora per me è anche la miglior lettura di Pavese.

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  2. Con questa recensione mi hai incuriosita moltissimo. Adesso, poi, che mi sto avvicinando alla letteratura nostrana del Novecento, Pavese è un must.

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    1. Decisamente! Confesso che anni fa ho faticato molto nel primo avvicinamento a questo autore, ma ora ne sto traendo grandi soddisfazioni.

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  3. Da qualche tempo, anche perché sollecitata da un approfondimento visto su Rai5 nella serie I grandi della letteratura italiana, sto pensando di ri/leggere Pavese, con il quale ho un rapporto ambiguo XD "viziato" dagli anni scolastici (probabilmente non era il momento adatto). E magari questa raccolta potrebbe fare al caso mio...

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    1. Come scrivevo nel commento precedente, anche per me l'incontro con Pavese non è stato proprio positivo, nel mio caso la prima lettura fu La luna e i falò, che dovrò riprendere alla luce dei nuovi sviluppi. Quindi mi sento di suggerirti di dare una seconda opportunità a questo autore!

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