I piccoli maestri - Luigi Meneghello

Erano almeno dieci anni che avevo I piccoli maestri sui miei scaffali. Un libro scelto quasi per caso, forse per influenza della copertina di un'edizione di allora, sulla quale compariva una statua di Arturo Martini raffigurante Palinuro. Solo adesso, cercando di capire il perché di questo legame con l'immagine, ho scoperto che il mito virgiliano ha ispirato lo scultore nella rappresentazione del partigiano Primo Visentin, detto Masaccio, morto, come il timoniere di Enea, ad un soffio dalla meta, il 29 aprile 1945.

Il libro di Luigi Meneghello ha una fortissima componente biografica, tanto da poter dire che ha più della memorialistica che della narrativa, come accade spesso con la letteratura della Resistenza. L'autore, infatti, entrò a far parte delle bande di partigiani dopo l'armistizio di Cassibile del settembre 1943, quando, dopo la disgregazione del reparto di Alpini di cui faceva parte, tentando di tornare a casa trovò il nord della penisola controllato dai Tedeschi. I piccoli maestri, dunque, è, per definirlo alla maniera dantesca, un libro della memoria, un percorso narrativo non continuo, bensì composto di folgorazioni improvvise, di ricordi frammentari, di sequenze che spesso non hanno una conclusione o sono dissolte in commenti brevi e amari che lasciano intendere da un lato la difficoltà e forse la non-necessità di narrare precisamente dopo anni e anni (Menghello scrisse questo libro nel 1964) una storia con un inizio e una fine, dall'altro l'assenza di un vero progetto nelle imprese dei primi partigiani, più desiderosi di cambiamento che realmente preparati a produrlo.
Fin da principio intendevamo bensì tentare di fare gli attivisti, reagire con la guerra e l’azione; ma anche ritirarci dalla comunità, andare in disparte. C’erano insomma due cose nel nostro implicito concetto di banda: uno era che volevamo combattere il mondo, agguerrirci in qualche modo contro di esso; l’altro che volevamo sfuggirlo, ritirarci da esso come in preghiera.
La ricostruzione dei mesi sull'Altipiano di Asiago fra i partigiani ha un'impronta decisamente anti-celebrativa e scevra di ogni retorica: quello che Meneghello ha voluto offrire al lettore è un'onesta testimonianza sul fenomeno della Resistenza, non così eroico e, anzi, talvolta estremamente prosastico, non abbastanza radicato in una visione politica e in qualche caso dominato da personaggi che vogliono semplicemente agire e non pianificano con lungimiranza le proprie azioni, finendo per essere travolti da eventi grotteschi, trovandosi male armati al momento del bisogno e, peggio ancora, incapaci di mediare con altri gruppi di partigiani al fine di formare un fronte unitario e superare l'assurda divisione territoriale della guerriglia.
Le azioni di guerra, comunque, non sono così frequenti nel libro che, come si è detto, è fatto di sprazzi narrativi, di personaggi che appaiono e scompaiono e dei quali, spesso, all'autore basta farci sapere che sono morti. A richiamare l'attenzione dell'autore sono gli oggetti quotidiani, come le armi che vengono perse non si sa bene dove, qualche canto popolare, il ritratto di qualche intraprendente partigiana, le notizie dei rastrellamenti, il trascorrere del tempo e la simbiosi che viene a crearsi fra la natura e l'essere umano che in essa si rifugia, anche quando essa è parte di un paesaggio freddo e inospitale.
Questo è il cuor dell’avventura, il centro. È un periodo breve, poche settimane: i calendari dicono così. A noi parve lunghissimo, forse perché tuto contava, ogni ora, ogni sguardo. Nel viso di un compagno che si sveglia sotto un pino, nel giro di occhi di un inglese appoggiato a una roccia, leggevamo un’intera vicenda di pensieri e sentimenti, e la leggiamo ancora tanti anni dopo, con la stessa evidenza e complessità, e la stessa assenza di tempo. Il tempo non c’era, l’avevano bevuto le rocce, e ciò che accadeva di giorno e di notte era senza dimensioni.
Leggere I piccoli maestri non è stato facile. La discontinuità narrativa impedisce la costruzione di un grande affresco e frammenta le riflessioni, facendo emergere, attraverso la forma, anche la disgregazione del fronte della Resistenza, che Meneghello si è proposto di strappare all'eroismo di stampo neorealista. Paradossalmente, ho trovato più scorrevoli e avvincenti le sezioni più riflessive, quelle in cui l'autore si sofferma sulla mancanza di una vera idea di rivoluzione popolare che, richiamandosi alle teorie di Mazzini, avrebbe potuto costituire una potente arma nelle mani degli Italiani per la conquista della libertà. E poi ci sono i brani di ripiegamento, ai quali viene affidato uno slancio poetico che, da solo, vale la lettura di questo originale memoriale.
Le forme vere della natura sono forme della coscienza. Di queste cose si è sentito parlare nelle storie letterarie, ma quando si sperimentano di persona paiono nuove, e solo in seguito, riflettendoci, si vede che sono le stesse. Lassù, per la prima volta in vita nostra, ci siamo sentiti veramente liberi, e quel paesaggio s’è associato per sempre con la nostra idea di libertà.
Non posso dire, dunque, che l'esperienza di lettura di questo libro sia stata del tutto positiva. Ho apprezzato molto la scelta di Meneghello di essere diretto e di riuscire a coniugare la descrizione di fatti cui ha assistito o partecipato in prima persona ad un disegno più ampio, dimostrandosi capace di dire anche cosa non ha funzionato nell'azione dei partigiani. Tuttavia la lettura è stata abbastanza stentata, anche per la mancanza di una vera e propria vicenda da seguire, e non l'ho abbandonata solo per quelle ammirevoli sezioni di filosofia. Ecco perché non consiglio questo libro a chi, genericamente, ami la letteratura italiana del Novecento: I piccoli maestri è un libro fatto per coloro che hanno un interesse particolare per la Resistenza, per le sue sfumature e per la riflessione che l'ha animata o non l'ha sorretta abbastanza.
Pur essendo il comandante, facevo naturalmente i turni di guardia come tutti gli altri, anzi mi sceglievo i peggiori, dalle due alle sei della mattina per dare il buon esempio. Questo turno di guardia si faceva a un cento metri dalla malga, in piedi tra le frasche, in mezzo alla neve, nel buio. In quelle ore di solitudine assoluta, ghiacciata, uno si sentiva soldato, frate, fibra dell’universo, e mona. Il freddo era schifoso.
C.M.

Commenti

  1. Purtroppo non ho letto il libro, ma da amante di tutto ciò che è legato a quel periodo storico avverrà, in compenso, per quel che vale, ho visto la riduzione cinematografica. E' una storia che ho amato molto.

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  2. Anche io come Massimiliano ho visto il film, molto bello e da recuperare a mio parere.
    Voglio leggere il romanzo da un sacco di tempo e ti dirò che la scrittura, così come la presenti nel post, mi incuriosisce moltissimo :O

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    1. Allora proverò a vedere il film mentre tu recuperi il libro! ;)

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