Il bambino con il pigiama a righe - John Boyne

La Shoah, nelle storie che hanno come protagonisti i bambini, risulta ancor più spaventosa. Non credo sia solo la tenerezza naturale che si prova per i più piccoli e che porta gli esseri umani ad avere per l'infanzia maggiori attenzioni e un più forte slancio protettivo; infatti c'è di mezzo anche il terribile divario fra l'ingenuità dei giovanissimi, che non possono concepire la violenza e il male e comprenderne i meccanismi, e la crudeltà di coloro che sembrano non essere stati mai bambini e che applicano gli strumenti di tortura e morte come se fossero la cosa più elementare e naturale del mondo.
Questo stridore, che già si avverte nelle lacrime del piccolo Didi, fratello della protagonista di Io non mi chiamo Miriam, si presenta anche alla lettura del romanzo Il bambino con il pigiama a righe, romanzo di grande successo di John Boyne (2006), da cui è stato tratto anche un film diretto da Mark Herman. Ho voluto leggere questo libro per avere uno spunto di lettura adatto ai ragazzi della scuola secondaria di primo grado, per farli avvicinare ad una tematica delicata in modo graduale, attraverso l'esperienza verosimile di personaggi coetanei.
Il protagonista della storia è Bruno Hess, un bambino berlinese che, all'improvviso, è costretto a lasciare con la famiglia l'immensa casa in cui vive perché il Furio (termine storpiato che identifica la carica di Hitler) ha scelto suo padre per un incarico molto importante in una zona della Polonia che bruno, incapace di pronunciarne correttamente il nome, chiama Auscit. La nuova casa è spoglia, piccola, inospitale e, soprattutto calata in un luogo deserto in cui non arriva nessun altro al di fuori dei soldati, come l'odioso tenente Kotler. Le uniche persone con cui Bruno riesce a stringere un legame sono Pavel, un inserviente che in passato esercitava la professione di medico, e un coetaneo che, però, vive dall'altra parte di un interminabile recinto di filo spinato, in mezzo al fango e alle baracche. Bruno non può sapere che sono due prigionieri luogo più terrificante che possa esistere sulla terra, che si trova proprio al di là del filo spinato e, quando l'egocentrica sorella Gretel gli spiega che sono ebrei e che, in quanto tali, devono essere separati dai non ebrei, non comprende comunque che quella separazione corrisponde ad una prigionia fatta di privazioni, torture, fame e sofferenze. Anche nei suoi dialoghi con Shmuel, che incontra lungo il recinto, nel punto in cui la rete si solleva abbastanza da permettere loro di stringersi la mano, Bruno dimostra di non cogliere il vero significato delle parole dell'amico, della foga con cui si getta sul cibo che gli porta di nascosto, dei lividi che gli appaiono sul volto: per Bruno tutto è un'avventura e la violenza che Shmuel sperimenta giorno dopo giorno appartiene ad un altro mondo, inconcepibile per un ragazzino il cui maggior problema è la nostalgia per gli amici rimasti in città.
Il bambino con il pigiama a righe è una lettura scorrevole, lineare e avvincente nel modo in cui intesse la trama e le avventure di Bruno e Shmuel. Estremamente ostico è, invece, il tema trattato, che, come sempre accade quando ci troviamo di fronte a queste narrazioni, mette a dura prova e, anzi, soverchia la nostra capacità di comprendere.


Mi sono chiesta come spiegherei ad un giovane lettore la storia di Bruno e Shmuel, come illuminerei il non detto risultante dalla mancanza di informazioni di Bruno, che, come si è detto, vive ingenuamente la sua amicizia col bambino che incontra oltre il recinto di filo spinato. Ci sarebbero eventi da narrare, frasi da sciogliere, oltre a un finale da costruire oltre ciò che ci dice Boyne. Credo che l'orrore dei campi di concentramento e delle persecuzione si riveli soprattutto in questi momenti: quando ci troviamo a dover dare una spiegazione ad una persona ingenua e inconsapevole, ad un bambino che non può sostenere (ammesso che un adulto possa invece farlo) la portata del male e le sue conseguenze estreme, che cosa siano stati in grado di fare degli uomini ai loro simili, nascondendosi dietro a pregiudizi ed esercitando una continua presunzione di superiorità unita al totale disprezzo del prossimo. Oggi, poi, il primo contatto con il concetto di genocidio e con gli eventi legati all'Olocausto avviene a tredici anni, mentre ricordo quanto sia stato impressionante venire a sapere dei campi di concentramento alla scuola elementare, attraverso il diario di Anna Frank che la maestra leggeva in biblioteca, attraverso la poesia Scarpette rosse, attraverso il film La vita è bella: tutte storie di bambini che parlavano direttamente a me che ero bambina e che sicuramente hanno lasciato un segno profondo in un momento cruciale della crescita in cui vanno definendosi, poco alla volta, il significato del bene e del male e la riflessione sul senso dell'uguaglianza, della convivenza e del rispetto del prossimo. Ecco perché penso che, se dovessi tornare ad insegnare nella scuola secondaria di primo grado, farei leggere questo libro e che, soprattutto, se avrò dei figli, cercherò di avvicinarli a Il bambino con il pigiama a righe prima che sia un manuale di storia a mostrare loro l'immagine di un Lager e le foto di tante vittime con quella stessa divisa che indossa il piccolo Shmuel.

C.M.

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