Il nano - Pär Lagerkvist

Risalendo verso la Svezia, tutto ci si aspetterebbe tranne che di ritrovarsi in una città dell'Italia rinascimentale, nel pieno di una guerra fra signorie e intrighi di corte di cui sono protagonisti personaggi dai nomi per nulla nordici. Ma, in fondo, fino a questo momento, nel variegato catalogo Iperborea, non ho trovato due volumi sovrapponibili, perché ciascuno riserva un'esperienza originale, peculiare e mai banale. L'ultimo scrittore in cui mi sono imbattuta è Pär Lagerkvist (1891-1974), autore de Il nano (1944), uno dei primi romanzi tradotti dalla casa editrice milanese, oggi ripubblicato nella nuova veste della collana Luci.

Il romanzo ha come voce narrante il nano che dà il titolo al libro, un personaggio cinico, gretto e che odia qualsiasi manifestazione dell'esistenza biologica e sentimentale dell'essere umano, che trova ripugnanti i rapporti fra le persone, osserva con sguardo sprezzante la morte che avviluppa i poveri e i malati e brama di sporcare di sangue la propria spada in battaglia. Egli è il leale servitore di un principe italiano di cui ammira la freddezza calcolatrice, sebbene non sempre gli sia facile comprenderne i disegni; odia, invece, Teodora, la sua sposa, una laida principessa lussuriosa, così come odia la giovane principessina Angelica, di cui in passato è stato costretto ad essere il compagno di giochi per via della sua statura e che ora lo fa inoridire con i suoi sospiri d'amore per il figlio di una casata rivale. Il nano è l'impietoso osservatore della vita di corte, dei suoi banchetti e delle guerre che attorno ad essa si combattono: è testimone degli scontri che lacerano il nord della penisola italiana nel XVI secolo, del dilagare delle truppe mercenarie e della loro volubilità, nonché della propagazione della carestia e della peste. Con la sua irritante malvagità, il nano è però il portatore di un pensiero e di una condizione comune: quella dell'essere umano che nasconde dietro al lusso, all'abbondanza di cibi e abiti appariscenti e agli slanci festosi una corruzione di fondo che lo porta a preferire il sangue, la distruzione del suo prossimo, la sofferenza di chi ha intorno. Il nano introduce la prospettiva straniata di chi osserva l'umanità dal basso, conferendole la somiglianza con il proprio sentire, o, per meglio dire, facendo emergere l'identità fra gli uomini e il nano, diversi solo per il fatto che quest'ultimo è sterile, mentre i primi potranno eternamente riprodurre, assieme a se stessi, anche la propria crudeltà.
Quella di Lagerkvist è una narrazione estremamente radicata alle contingenze storiche in cui è nata: lo scrittore riflette qui sui temi della guerra e della violenza, senza poter evitare di sollevare nei confronti degli esseri umani un'accusa di barbarie e di odio senza fine quali comportamenti radicati nell'intimo del loro animo come il nano è incatenato al castello del suo principe. La corte in cui si svolgono le crude vicende de Il nano è una città senza identità che, proprio in quanto tale, rivela l'universalità delle piaghe che la attanagliano: in essa non c'è spazio per l'amore, per la gioia, per una sensualità genuina, per la bellezza, per le arti e per i nobili valori di cui l'umanità si fa portavoce. Siamo, al contrario, in uno spazio buio, sporco, sordido, pullulante di crudeltà, inganni, massacri e tradimenti, dove i morti di freddo e di fame vengono tolti dalle strade con la stessa indifferenza riservata ai ratti.
Il nano di Pär Lagerkvist è la storia di un'umanità che ha perduto il faro dei propri valori e sulla quale non veglia alcun dio. Con la costruzione di un ponte fra il XVI e il XX secolo, il romanzo sottolinea la scottante attualità della terribile situazione che in esso è rappresentata e che non è ancora estinta.
Che cos’è il gioco? Un insensato occuparsi di… niente, proprio niente. Uno strano modo di trattare per finta le cose. Non considerandole per quel che sono, non prendendole sul serio, ma solo facendo finta. Gli astrologi giocano con le stelle, il principe gioca con le sue costruzioni, le sue chiese, le scene della crocifissione e i campanili, Angelica gioca con le bambole: tutti giocano, tutti fanno finta di fare qualcosa. Solo io disprezzo la finzione. Solo io sono.
C.M.

Commenti

  1. Il tutto sembra quasi costruito sotto forma di una fiaba, e come ogni fiaba, nasconde l'affresco della nostra società. Molto bello questo ponte tra passato e presente e riguardo al personaggio mi ha ricordato tantissimo il deforme Riccardo III con la sua ripugnanza verso ogni pietà o sentimentalismo, eppure nonostante tutto pare essere il più lucido dell'opera e almeno genuino nella sua cattiveria rispetto agli altri. Ottimo spunto di lettura!

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    1. Escluderei la definizione di "fiaba" perché questo romanzo non nasconde nulla ma, al contrario, è aggiacciante per il suo realismo e per la schiettezza con cui parla dell'essere umano, oltre a mancare di una morale o dell'indicazione di un senso. Mi interessa molto il parallelo con Riccardo III, che non ho letto, perciò dovrò documentarmi a questo proposito...

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