I Buddenbrook - Thomas Mann

Il classico che ho scelto per questa estate è I Buddenbrook. Decadenza di una famiglia di Thomas Mann. Pubblicato nel 1901, esso è il primo romanzo dell'autore tedesco premio Nobel nel 1929 e racconta delle sorti di una famiglia dell'alta borghesia mercantile di Lubecca e dell'intreccio della vita familiare con le aspettative sociali e i cambiamenti politico-economici in un arco di tempo che va dal 1835 alla fine degli anni '70 del XIX secolo.

I Buddenbrook è una articolata saga che si pone nel solco della narrativa realista del romanzo familiare ottocentesco, tuttavia manifesta anche l'affacciarsi di un sentire decadente, l'emergere del carattere psicologico e di alcune tematiche caratteristiche del romanzo europeo di inizio Novecento.
Le vicende narrate percorrono quattro generazioni della famiglia Buddenbrook, che ha costruito la propria ricchezza e il proprio prestigio grazie al commercio: si parte dall'anziano console Johann Buddenbrook, sposato con M.me Antoninette Duchamps, si incontra poi l'erede Johann, che assume la stessa carica del padre alla sua morte, assieme alla moglie Elisabeth Kröger, per passare ai loro figli Thomas, Christian, Antoinette (detta Tony) e Clara e per finire con il piccolo Johann (meglio noto come Hanno), erede di Thomas e della moglie Gerda Arnoldsen, e, a margine, con le vicende di Erika ed Elisabeth, figlia e nipote di Tony.
Nonostante questa vasta rosa di personaggi, però, Mann si concentra in particolare su Johann Buddenbrook jr. e sul suo impegno nel far crescere il successo economico e la visibilità sociale della famiglia, su Thomas, con i suoi tentativi di arrestare l'inevitabile declino che segue l'ampliamento delle relazioni commerciali interne ai principati tedeschi e una serie di operazioni d'affari disastrose, e su Tony, che da ragazzina sognatrice e viziata diventa una donna che, con due divorzi alle spalle e l'abbandono della figlia da parte dello spregiudicato Hugo Weinschenk, lotta con tutte le sue forze per salvare il poco che rimane del rinomato nome dei Buddenbrook.
Ne I Buddenbrook si assiste ad una lucida analisi delle dinamiche sociali e della rapidità con cui la fortuna si muta in decadenza, soprattutto a fronte di una visione del mondo imperniata più sulla conservazione che sul cambiamento. I Buddenbrook, Tony in particolare, sono abbagliati dalla fortuna del loro nome, dalla riverenza che ricevono dagli altri borghesi, dall'ammirazione di cui godono da parte dei membri di ogni classe sociale, dalla devozione della servitù e da una insana concorrenza con le altre famiglie di spicco di Lubecca, prima fra tutte quella degli Hagenström. Inseguono così la convenienza sociale e i matrimoni di convenienza, ritrovandosi sempre più spinti lungo la via del disfacimento a causa di investimenti sbagliati, scelte avventate, miraggi affaristici e inganni più o meno intenzionali causati dai consorti acquisiti. Matrimoni, divorzi, nascite e morti si intersecano agli inarginabili effetti di un mondo che cambia e nel quale i baluardi eretti dai padri crollano nelle mani dei figli, incapaci di trovare un compromesso con i rivali e con la consapevolezza dello sgretolamento del sogno borghese, così preso dall'inseguire la nobiltà da non vedere il rischio della corrosione.
Le vicende dei Buddenbrook sono inoltre un susseguirsi di rinunce e soffocamento dei sentimenti e dell'autenticità a questo miraggio di preminenza sociale: alla stabilità economica e alla rispettabilità sociale vanno sacrificati i sentimenti, come fa Tony, che si lascia persuadere prima a sposare un promettente affarista, poi a buttarsi in una nuova unione per lavare l'onta del divorzio e poter restituire dignità al registro di famiglia dove si annotano i traguardi di tutti i Buddenbrook e l'ampliamento dell'albero genealogico, o come accade al giovane Hanno, assorbito da una passione totale per la musica e per il teatro ma, nei progetti del padre, destinato agli studi tecnici e alla guida della compagnia commerciale.
La consistente mole del romanzo e l'elevato numero dei personaggi potrebbero dare l'impressione di una boriosa cronaca familiare, ma I Buddenbrook è tutt'altro: Thomas Mann utilizza una prosa coinvolgente eppure ricca dell'attenzione ottocentesca, alternando sapientemente minuziose descrizioni di uomini e donne a dialoghi ricchi di tensione, restituendo con cura i sentimenti, il carattere e i moventi dei diversi protagonisti e le posizioni dei personaggi minori con cui si confrontano. Thomas e Tony, in particolare, appaiono come due antitesi che, pure, condividono un'aspirazione comune: lui, continuatore del patrimonio e della dignità familiare, è impegnato a far sì che i Buddenbrook appaiano sempre onorevoli e benestanti come sono stati fin dai tempi del padre e del nonno; lei, temprata da una serie di scottanti delusioni, e, per così dire, convinta che il mondo si divida fra chi è Buddenbrook e chi non lo è, ritiene che il buon nome della famiglia non possa coniugarsi con la rinuncia ad una parte del patrimonio, della casa familiare o alla copertura di una terribile umiliazione. In tal senso, i due protagonisti sono estremamente rigidi e disprezzabili, ma anche ammirevoli per questa loro convinzione, per l'orgoglio con cui perseguono, talvolta scontrandosi, la speranza di rivedere lo splendore di inizio secolo.
Ho letto I Buddenbrook in pochi giorni, correndo velocemente tra le pagine con la curiosità di conoscere gli sviluppi delle vicende di questa famiglia in preda al destino, con un trasporto paragonabile a quello che si ha per dei conoscenti, per degli amici di vecchia data, perché Thomas Mann ha saputo creare un contenitore di esistenze in cui il lettore trova il suo posto, ottenendo una posizione privilegiata nell'osservazione dei comportamenti del console Buddenbrook e dei suoi discendenti, ma, al contempo, di un'intera classe sociale e delle trasformazioni che la investono.

Jean-Frédéric Bazille, La riunione di famiglia (1867)
«Oh, non dovremmo mai andarcene da qui, noi! Dovremmo restarcene nella nostra baia e nutrirci onestamente… Ogni tanto mi avete preso in giro per il mio amore per la nobiltà… sì, in questi anni ho ripensato spesso alle parole che mi ha detto qualcuno tanto tempo fa, un uomo intelligente. “Lei prova simpatia per i nobili…” ha detto, “devo spiegare perché? Perché è nobile anche lei! Suo padre è un gran signore e lei una principessa. Un abisso la separa da noialtri che non apparteniamo al gruppo delle famiglie di più alto rango…” Sì, Tom, noi ci consideriamo nobili e abbiamo il senso della distanza e non dovremmo mai cercare di vivere dove la gente non sa nulla di noi e non è in grado di apprezzarci, perché non ne ricaviamo che umiliazioni e tutti ci considerano ridicolmente altezzosi.»
C.M.

Commenti

  1. Il Capolavoro!
    Letto anni fa e gradito moltissimo. Le ambientazioni cupe, il realismo cupo... i personaggi descritti così bene che pare di osservarli su uno schermo o meglio, di averli al fianco.
    L'orgoglio del nome importante che domina i personaggi. Li anima e li fa muovere incuranti di tutto il resto.
    Un romanzo intramontabile!

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    1. In poche righe hai raccolto tutta la magia di questo grande romanzo: ho adorato le descrizioni di personaggi e luoghi e le sfumature del loro pensiero, così coerente e irremovibile nonostante l'evidenza della fine...

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  2. Mann ha dato una grande spinta al rinnovamento culturale europeo. Ho letto "Altezza Reale" ma non mi è piaciuto granché... Vorrei riprovare con "La Montagna Incantata".

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    1. Anch'io vorrei proprio leggere La montagna incantata, sono molto curiosa... Ma prima credo che mi procurerò La morte a Venezia.

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