Rosamund - Rebecca West

Cosa ne sarà di Rose, Mary, Nancy e Rosamund? Questa è la domanda che sorge spontanea al lettore che, pagina dopo pagina, si è affezionato alle vicende della Famiglia Aubrey. Il terzo volume della saga firmata da Rebecca West appaga parte degli interrogativi lasciati in sospeso con la conclusione del secondo libro, Nel cuore della notte, ma nelle intenzioni dell'autrice c'era un quarto capitolo, che non è mai stato neanche abbozzato. Certo è che qualsiasi avventura letteraria deve interrompersi in un qualche momento, ma essere scagliati d'improvviso fuori dalle vite dei suoi protagonisti dopo tanti anni (loro) e inchiostro è sempre un piccolo trauma, che ci lascia in sospeso con mille domande. Del resto è proprio questo il punto di forza delle saghe, che sanno creare dei legami particolari con i personaggi, nel bene e nel male.

In Rosamund, recentemente pubblicato da Fazi, assistiamo a diversi cambiamenti e affianchiamo la narratrice, Rose, nel suo tentativo di accettarli. Alla pianista, ormai pienamente matura, sembra che il mondo della sua giovinezza, con gli affetti che ne hanno fatto parte e che gli hanno dato un senso, sia ormai lontano e irrecuperabile: l'affetto degli zii è sempre vivo, la locanda Dog and Duck è ancora un'oasi di serenità, la presenza del signor Morpurgo rimane costante, tuttavia il matrimonio di Nancy e ancor più quello di Rosamund fanno capire a Rose che le vite di ciascuno stanno andando avanti senza di lei, che forse non le rimane altro che la sua carriera da pianista (ma in una società in cui ben pochi comprendono e apprezzano apprezzano davvero la musica), sempre a braccetto con la gemella Mary, e che, forse, ha sopravvalutato alcune persone che hanno fatto parte della sua infanzia e adolescenza. Rosamund le era sempre parsa una creatura perfetta, amorevole, altruista, invece con il matrimonio abbandona la sua vocazione di infermiera e inizia a vivere all'ombra di un marito mediocre, spocchioso, decisamente deludente rispetto a quanto Rose si sarebbe aspettata per lei, ma molto ricco. Forse Rosamund è sempre stata solo una ragazza vanitosa, superficiale e pronta a dare le spalle alla famiglia o magari sono tutte elucubrazioni che nascono dall'impossibilità di Rose di comprendere l'amore e le sue sorprese, non avendoli mai sperimentati? Dalle delusioni delle prime pagine prende le mosse il cammino di Rose verso una maggiore consapevolezza di sé: ella è ormai una donna che deve reinventarsi, che comprende di non poter più essere solo la figlia, la sorella, la cugina di qualcuno e che si interroga su ciò che può renderla felice, realizzando che spesso la felicità richiede almeno un po'di quell'egoismo che porta ad allontanarsi da qualcuno e ad avvicinarsi a qualcun altro.
Nelle pagine di quest'ultimo volume si ritrova quella nota molto particolare dello stile di Rebecca West che fa oscillare il racconto fra sequenze molto lunghe, non sempre necessarie e intrise di riflessioni che fanno rallentare il ritmo (e che talvolta necessitano di una rilettura) e altre in cui molti eventi si succedono in modo concitato, con ellissi e sommari. Il risultato è l'emergere delle sensazioni di Rose, del suo trovarsi, più volte, spiazzata e nella necessità di ricategorizzare ciò che le sta intorno e soprattutto le persone che ha imparato a conoscere da una vita.
Sarebbe stato bello conoscere almeno le intenzioni di Rebecca West in merito al finale della saga degli Aubrey, perché le trasformazioni dei personaggi avrebbero potuto sorprenderci ancora e molti incontri fra alcuni di loro avrebbero di certo riservato dell sorprese. Ma, probabilmente, anche dopo un quarto capitolo l'amarezza del distacco si sarebbe riaffacciata, facendoci desiderare un ulteriore complemento. Si sa, è il magnetismo delle saghe, unito alla nostra innata voglia di pettegolezzi.

«Quanto amo il fiume!», dissi, «È qualcosa che conosco da una vita. Scorre all’indietro verso la Londra della mia infanzia. Mi sento come se potessi prendere un’imbarcazione e scivolare lungo il suo corso e raggiungere la mia infanzia, e Rosamund sarebbe lì».
C.M.

Commenti

  1. Spero di approdare anch'io quanto prima nella Famiglia Aubrey, intanto della West ho letto un piccolo libricino "Parthenope" (che in Inghilterra viene letto nei centri antiviolenza) che un poco mi ha introdotta nel suo mondo "archittettonico" (era esperta di architettura e arte) che si riflette nel suo stile e lascia le sue impronte nella saga.
    Peccato che il libro non preveda la postfazione che era già presente nell'edizione della Mattioli! Rebecca West (a suo tempo) aveva già annunciato l'uscita del volume conclusivo degli Aubrey e di questo progetto ne aveva lasciato una sinossi (doveva essere ambientato durante il nazismo). Avrebbe aggiunto poco o nulla alla bellezza dei tre libri ma comunque era un particolare che non doveva essere trascurato...

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    1. Io, per parte mia, dovrò leggere Parthenope: sono appena andata a recuperare la tua recensione e ne sono rimasta incuriosita (mi spiace che sia stato uno dei tanti articoli persi in un periodo convulso). Non vorrei, infatti, che la saga rimanesse l'unica esperienza delle idee e della capacità narrativa della West e, anzi, sarei curiosa di vedere cosa abbia prodotto in forme più brevi, perché l'unico difetto della saga è proprio la diluizione degli avvenimenti in tante riflessioni che a volte risultano sovrabbondanti. E poi sì, rimane la sensazione di qualcosa che ci sarebbe stato ancora da dire, di un racconto che non ha avuto la sua vera conclusione...

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