La Cripta dei Cappuccini - Joseph Roth

Quando, lo scorso anno, ho visitato Vienna, sono rimasta molto colpita dalla tenacia del suo volto imperiale, dal culto che la Repubblica nata dalle ceneri della Grande Guerra ha saputo tributare al suo glorioso e talvolta contraddittorio passato. Vienna è ancora identificata con le residenze asburgiche, il suo impianto urbanistico è ancora imperniato sulla spettacolare Ringstrasse, i suoi teatri e i monumenti trasudano la forza, la raffinatezza e la gloria di un grande mito. Fra le strade si scorgono i segni della tradizione ma anche gli impulsi innovatori degli anni '20, con quel fenomenale intreccio di palazzi dalle forme neoclassiche e di facciate in stile Liberty, con il rapido passaggio dal centro monumentale asburgico al quartiere multietnico e contemproaneo in cui sorge anche il Palazzo della Secessione, simbolo di un cambiamento epocale.
Questa fascinazione mi ha portata a continuare quella piccola saga dei von Trotta che, aperta da La Marcia di Radetzky, continua e si conclude con il più celebre romanzo La Cripta dei Cappuccini (1938). I due libri di Joseph Roth, scritti a distanza di sei anni, delineano chiaramente quell'insieme di trasformazioni sociali, politiche ed economiche che vanno sotto il nome di Finis Austriae; si avverte però nel secondo testo, più agile e snello del primo, anche un sottofondo di nostalgia e di desiderio al ritorno del passato imperiale, dovuto probabilmente anche alla delusione di Roth di fronte all'affermazione e al dilagare del Nazismo, che lo spinse ad un esilio nei Paesi Bassi.
Le due vicende si possono leggere indipendentemente l'una dall'altra, dal momento che i due von Trotta che vi compaiono come protagonisti sono cugini e che le loro vicende non si intrecciano in nessun modo; si colgono giusto un paio di riferimenti al loro antenato comune, quell'Eroe di Solferino all'ombra del quale nei primi anni del '900 viveva, non senza insofferenza, Joseph von Trotta.
In questo secondo libro Roth racconta di Francesco Ferdinando von Trotta, un giovane studente di giurisprudenza invero poco dedito alla propria formazione ma più che altro desideroso dei divertimenti fra il malinconico, l'indifferente e lo spensierato che condivide con quegli aristocratici del tutto inconsapevoli dei rivolgimenti che li attendono. Lo scoppio della guerra e la chiamata alle armi che Francesco Giuseppe rivolge a tutti i suoi regni (è forte fra queste pagine la riflessione sulla varietà di etnie e tradizioni che costituivano l'Impero austro-ungarico) spinge il protagonista ad alcune scelte radicali: si congeda dal prestigioso corpo dei dragoni a cavallo per unirsi ad un comune reparto di fanti, desideroso di condividere la difficile esperienza bellica con il cugino caldarrostaio Joseph Branco e con il vetturino ebreo Manes Reisinger; in secondo luogo sposa, contro il parere dell'anziana madre, Elisabeth, con la quale condivide pochissime ore di matrimonio prima della partenza per il reggimento, peraltro iniziando la vita coniugale con un forte attrito. Il vero cambiamento e le conseguenze delle sue scelte impulsive si faranno avvertire per Francesco von Trotta solo alla fine del conflitto, quando, dopo l'esperienza della prigonia in Siberia, troverà la madre malata, dovrà cedere a trasformare la casa di famiglia in una pensione in cui prenderanno alloggio anche i suoi vecchi amici ormai decaduti e, soprattutto, tenterà di ricostruire il suo rapporto con la sposa, che, in sua assenza, ha investito in un'impresa di ogettistica d'arte e intrapreso un'ambigua relazione con la sua socia.
Se la vicenda di Joseph von Trotta era imperniata su un giovane ormai incapace di riconoscersi nei valori asburgici incarnati dal nonno e dal padre e quindi portato alla ribellione e a un desideroso di un rinnovamento che non di rado lo faceva sembrare ingrato e superficiale, Francesco appare invece disorientato dalle trasformazioni del suo mondo, attaccato a ciò che la monarchia asburgica rappresentava per gli Austriaci: egli è travolto da un nuovo sistema di valori, sentimenti e interessi che, per molti aspetti, gli sfuggono e non gli offrono alcuna corrispondenza. Ecco perché, se il cugino Joseph cercava di liberarsi dell'opprimente eredità dell'Eroe di Solferino, Francesco, anche solo per il bisogno di riabbracciare qualcosa di sicuro, è portato dai suoi stessi passi a quella Kapuzinergruft in cui riposano le spoglie degli imperatori, fra tutte quella di Francesco Giuseppe, ultimo baluardo del suo rassicurante passato.

La tomba di Francesco Giuseppe (affiancata da quella di Elisabetta e dell'unico figlio maschio Rodolfo) nella Kapuziergrutf
Noi non piangevamo la nostra patria perduta, la passavamo per così dire sotto silenzio. Qualche volta, a un tratto, senza che ci fossimo accordati, cominciavamo a cantare vecchie canzoni militari. Vivi eravamo e presenti in carne e ossa. Ma in realtà eravamo morti.
C.M.

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