Sherlock

In questi anni iperdiffusione di Netflix e altre piattaforme che portano film di ieri e di oggi nelle nostre case, penso siano sempre meno le persone che non si lasciano trascinare dalla dipendenza per le serie tv. Io rimango fra queste, più che altro per una questione di pigrizia, perché, come vi ho già raccontato, non amo trascinarmi una storia per stagioni e stagioni, quindi mi butto soltanto sulle produzioni già concluse, preferibilmente brevi.
Se le scorse vacanze estive sono state dedicate alla serie di Downton Abbey, in questi giorni di isolamento mi sono concessa tredici appuntamenti con Sherlock, uno dei numerosi adattamenti dei romanzi e dei racconti su Sherlock Holmes di Sir Arthur Conan Doyle, ideato da Steven Moffat e Mark Gatiss, che vi compare anche nel ruolo di Mycroft Holmes, fratello del protagonista. La serie tv è andata in onda fra il 2010 e il 2017 in tre stagioni di quattro episodi, cui si aggiunge un episodio speciale collocato fra la fine della terza e l'inizio della quarta stagione. I ruoli degli ormai leggendari Sherlock Holmes e dottor John Watson sono ricoperti da Benedict Cumberbatch e Martin Freeman, che negli stessi anni hanno lavorato insieme anche ne Lo Hobbit di Peter Jackson.
 
Benedict Cumberbatch e Martin Freeman
 
Le avventure dell'investigatore inglese sono ambientate nella Londra dei giorni nostri, con gli adattamenti che ne conseguono delle vicende principali: l'eccentrico Sherlock Holmes si definisce un sociopatico iperattivo e non fuma la pipa ma le sigarette, il dottor Watson è sempre un reduce di guerra con alle spalle un ferimento in Afghanistan, non a seguito della guerra coloniale britannica ma del più recente conflitto che ben conosciamo; i due compagni di indagine si spostano sui taxi e possono contare sul web e sugli smartphone, i complotti coinvolgono database e aeroplani e le strumentazioni chimiche permettono una più efficace lettura delle prove. I personaggi secondari sono quelli che i lettori di Conan Doyle o gli appassionati dei film precedenti conoscono: la signora Hudson (Una Stubbs), trasformata da governante in proprietaria dell'edificio al 221B di Backer Street, il già citato Mycroft Holmes, anche qui titolare di un importante ma delicato incarico governativo, la misteriosa e sfuggente Irene Adler (Lara Pulver), la moglie di John Watson Mary Morstan (Amanda Abbington), e, naturalmente James Moriarty (Andrew Scott), la nemesi di Sherlock Holmes, qui presentato non come un professore ma come un consulente criminale. Questi e molti altri personaggi vengono adattati al mondo contemporaneo, appaiono e scompaiono, presentano molte identità e caratteristiche che li rendono flessibili, sfuggenti, ambigui e in grado di apparire con contributi diversi in più puntate, nel grandioso gioco della verità e delle apparenze.
Le tredici puntate della serie non sono e non potrebbero essere il fedele adattamento delle avventure narrate da Conan Doyle, ma si ispirano al suo universo, talvolta intrecciando più riferimenti e più rimandi, altre volte usando il racconto originario come apparizione simbolica o onirica. Le attuali tecniche di lavorazione cinematografica rendono ancor più dinamica la narrazione, che utilizza anche la sovraimpressione di pensieri e contenuti di messaggi o lettere per aiutare lo spettatore a seguire i pensieri di Sherlock Holmes, costantemente al lavoro con le sue deduzioni, sempre impegnato a processare ogni genere di dato visivo, sonoro, verbale e a ricavarne inferenze e ipotesi che accoglie o scarta con una velocità incredibile. È infatti la mente di Sherlock, con il suo palazzo mentale, la sua arte della deduzione e una mnemotecnica impressionante, la vera protagonista di questa serie tv, che procede veloce, con un ritmo costante, nonostante la lunghezza degli episodi (circa un'ora e mezza l'uno), da film, più che da serie tv. Per questo motivo a volte il gioco fra l'essere e l'apparire diventa labirintico, difficile da ricondurre a spiegazioni razionali, eppure perfettamente controllato.
L'efficacia di questa scelta narrativa cala leggermente dalla terza serie, si risolleva con l'episodio speciale L'abominevole sposa ed entra in crisi nella quarta, conducendo ad un finale di stagione che ho trovato poco convincente, pieno di contraddizioni e dispersivo, perché introduce proprio alla penultima puntata quello che poteva essere un filone interessante ma che la compressione tratta con salti eccessivi e scelte. Insomma, più che mettere tutti i tasselli al loro posto, la chiusura lascia interrogativi slegati dal progetto iniziale e incrina anche leggermente la fiducia nei confronti della mente di Sherlock. Anche lo straordinario rapporto fra Holmes e Watson, che da solo basterebbe a tenere in piedi le prime due serie, assume delle note ripetitive verso la conclusione, infatti occorre una scelta drastica (che, volendo evitare spoiler, non posso descrivere) per imprimere all'amicizia fra i due una svolta significativa.
Sherlock, insomma, mi ha lasciato la perplessità sul finale che quasi tutte le serie tv mi hanno presentato, un'idea di scarso convincimento sugli ultimi sviluppi, figlia di un crescendo di tensione non risolto con l'efficacia e la coerenza attese, un po'come mi è successo con il gran finale (ma in realtà con le intere due ultime stagioni) di Game of Thrones e con quello de L'uomo nell'alto castello, di cui non ho scritto proprio per il totale disorientamento e la delusione che ho avuto allo spegnersi delo schermo sull'ultimo episodio. A proposito del finale, comunque, va detto che non è definitivo, dato che Steven Moffat ha dichiarato di essere soddisfatto delle quattro stagioni al punto da poterle considerare concluse, ma non ha esplicitamente escluso che il progetto possa continuare.
A parte questo neo sul vero o apparente finale, la serie con Benedict Cumberbacht e Martin Freeman mi ha catturata e affascinata con la suspence, con i procedimenti logici, con le modalità con cui un racconto del XIX secolo è diventato un racconto degli anni '10 del Duemila, con i paradossi e con l'invito di Sherlock a partecipare ad un gioco grandioso di narrazione. Poco importa, insomma, di quell'ultima stagione traballante e di alcuni eccessi che hanno fatto collassare l'ultima puntata: con le peripezie dello Sherlock Holmes della BBC ho ritrovato la curiosità per Arthur Conan Doyle e l'universo dell'investigatore di Backer Street, che mi ha convinta a riprendere l'avventura letteraria che avevo lasciato (non per disinteresse ma perché non era prioritaria rispetto ad altri romanzi) dopo Uno studio in rosso
Magari dovrò aspettare la fine di questo triste periodo perché mi siano recapitate le mie copie delle due raccolte Einaudi di tutti i romanzi e tutti i racconti, ma so che da qualche parte ci sono dei pacchi con dentro l'intero universo di Sherlock Holmes col mio nome sopra e sono davvero impaziente di dare la caccia fra le pagine a personaggi e situazioni incontrati in questa serie tv.
E voi avete visto questa serie? Quali altri racconti filmici dell'investigatore di Backer Street consigliate?
 
C.M.

Commenti

  1. Ciao! A me questa serie piace molto, l'ho vista e rivista. Mi piacciono molto le rivisitazioni contemporanee dei casi classici, come, per esempio, la "reinvenzione" del mastino dei Baskerville. A me la terza serie è piaciuta molto, anche se è un po' introspettiva, da un certo punto di vista; la quarta meno, perché ho trovato tanti momenti un po' cupi ed inquietanti. Come hai sottolineato tu, il dramma è persino eccessivo. Quanto alle questioni irrisolte, io spererei in una quinta stagione… anche se mi sa che ormai non c'è niente da fare!

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    1. Penso anch'io che l'ipotesi di una continuazione sia remota, ma tener viva l'aspettativa di una conferma o di una smentita contribuisce forse a concentrare ancora l'attenzione sulla serie. Dopo la lettura dei racconti e dei romanzi al completo la rivedrò, in modo da sfidare me stessa a cogliere tutti i rimandi e per apprezzare ancora di più le scelte che mi hanno avvinta al telefilm. :)

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  2. Davvero piacevole questa serie contemporanea, peccato davvero non abbiano continuato. Alcuni anni fa avevo apprezzato molto la serie Le avventure di Sherlock Holmes con Jeremy Brett, credo sia stato il migliore degli interpreti del complesso personaggio di Holmes e fortunatamente prima della sua morte era riuscito a finire tutti e 41 episodi molto connessi ai racconti. Come Bela Lugosi con Dracula anche lui lentamente era arrivato al punto di immedesimarsi realmente nel personaggio trascinato nel vortice con i suoi tic le sue crisi.

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    1. Penso che con serie molto lunghe e con personaggi così particolari il rischio di una simbiosi sia molto forte per un attore, fra l'altro Cumberbatch ha inanellato interpretazioni altrettanto particolari nello stesso periodo: penso all'aver dato la voce a Smaug ne Lo Hobbit ma anche e soprattutto al ruolo di Alan Turing in The Imitation Game.

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  3. Concordo con ogni tua parola riguardo al procedere della narrazione, fino all'ultima traballante stagione, di questa serie che amato visceralmente. L'ho amata per le stesse ragioni di cui scrivi, al punto da trarne spunto per il mio spettacolo d'invenzione "Sherlock Holmes e il caso dell'ape tatuata" che ho messo in scena nel maggio dello scorso anno con i ragazzi del laboratorio teatrale. Cumberbatch superlativo, i testi delle prime stagioni da manuale, tutto il cast perfettamente nel ruolo. Mi piace anche moltissimo la traduzione in termini moderni dei capitoli maggiori della scrittura di Conan Doyle, i quattro romanzi cardine della sua produzione sherlockiana, cui si intrecciano le vicende dei racconti minori. Io mi sono concessa la rilettura dei quattro romanzi prima di scrivere il copione, ed è stato bellissimo rivivere quelle atmosfere e uno stile impeccabili.

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    1. È davvero ammirevole la tua capacità di trarre spunto da così tanti soggetti diversi per i tuoi drammi: da quando ti seguo ti ho vista ispirarti all'arte, alla storia, alla letteratura e al cinema e mi dispiace che la distanza che ci separa mi impedisca di assistere ad un tuo spettacolo: sono sicura che il tuo Sherlock sia stato strepitoso!

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    2. Grazie, Cristina! È stato uno spettacolo "difficile" da mettere in scena, ma l'entusiasmo dei ragazzi è stato il motore che ha mosso una macchina ben riuscita.

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