Non esistono posti lontani - Franco Faggiani

Un anziano archeologo, un giovane ischitano incline al furto e un carico di opere d'arte in mano ai Tedeschi: sono i tre ingredienti dell'ultima ricetta narrativa di Franco Faggiani, che col romanzo Non esistono posti lontani (Fazi) affronta una riflessione sul valore dell'amicizia, tanto più forte perché inaspettata e non cercata, sul coraggio e sull'atto di responsabilità che precede l'azione, momento cruciale della scelta che porta con sé propositi e rischi.
Il narratore della vicenda, che si svolge fra il 1944 e il 1945, nella fase più drammatica del secondo conflitto mondiale in Italia, è Filippo Cavalcanti, incaricato di assicurarsi che alcune opere d'arte destinate ai musei tedeschi per un prestito siano trasportate in sicurezza da Bressanone fino al di là del confine. Lo studioso è tentato di rifutare per non favorire un furto legalizzato, ma la salvaguardia dei dipinti e dei reperti, insieme alla prospettiva di lasciarsi alle spalle Roma, ormai epicentro della guerra, decidono per lui, tanto più che al lotto di cimeli appartiene anche un sarcofago proveniente dagli scavi da effettuati in Marocco dallo stesso Cavalcanti, un oggetto al quale lo legano intensi ricordi. A Bressanone Cavalcanti incontra Quintino, un ragazzo al confino desideroso di sfuggire alla sua condizione e che, saputo del delicato incarico del professore, gli propone di usare uno dei mezzi che i Tedeschi hanno portato alla sua officina e di rubare le opere, così da metterle al sicuro. Cavalcanti non ha fiducia in Quintino, tanto più che al loro primo incontro lo ha derubato, ma più di lui disprezza i fascisti e l'età avanzata gli dà il coraggio di trasformare quella che finora è stata un'opposizione con pochi rischi in un'azione di resistenza attiva. Grazie a simulazioni, atti da ladruncoli e con una buona dose di fortuna, Filippo e Quintino si impadroniscono delle opere, le caricano con cibo e armi nel retro del furgone e iniziano un viaggio che dovrebbe condurli in Vaticano, passando per la Svizzera, il Piemonte, l'arco appenninico e, naturalmente, per le linee del fronte che divide gli Americani in avanzata dal sud della penisola e i Tedeschi in rotta verso nord. Il loro è un viaggio che oscilla fra momenti di estrema cautela e gesti avventati, fra incontri provvidenziali e i pericoli rappresentati da chiunque si raduni in bande armate, qualsiasi sia lo schieramento cui appartengono: il professore e Quintino non possono che fidarsi l'uno dell'altro, pur essendo estremamente diversi e avendo inizialmente più elementi d'attrito che di condivisione.
Dopo La manutenzione dei sensi e Il guardiano della collina dei ciliegi Faggiani firma un'altra bella prova di narrativa, facendo ritrovare al suo lettore la sua prosa precisa, elegante e fluida, capace di disegnare storie che sanno farsi amare e ricordare.
C'è, in Non esistono posti lontani, qualcosa che richiama i precedenti romanzi, a partire dal ritratto di Cavalcanti, che, come Shizo Kanakuri, riflette sui momenti cruciali della propria esistenza, sul rapporto con il padre e soprattutto su quelli in cui avrebbe dovuto prendere delle decisioni cruciali e che si dedica anima e corpo ai suoi studi, con la stessa dedizione dell'atleta giapponese verso la corsa; la coppia Filippo-Quintino, inoltre, dialoga, pur in termini diversi, con quella rappresentata da Leonardo e Martino, dato che questi personaggi sono impegnati nella costruzione di un legame padre-figlio, sebbene Leonardo non sia il vero padre di Martino e Filippo lo diventi, gradualmente, per Quintino solo in maniera simbolica. Eppure non c'è ripetizione, non c'è la sensazione del già letto, perché ogni personaggio si ritaglia un proprio spazio e assume una chiara funzione in storie che hanno come unico difetto quello della loro necessaria conclusione.
Non esistono posti lontani insiste soprattutto su un grande tema comune a quelli dei precedenti romanzi: nessun uomo è rigido o, per meglio dire, nessuno dovrebbe esserlo, le grandi avventure nascono, anche in esperienze comuni, dalla capacità di reagire, di trovare interessi, di cambiare ciò che si è sempre stati senza per questo scivolare nell'incoerenza, in un continuo processo di miglioramento destinato a riservare sorprese.

Ho imparato da lui anche un’altra cosa, molto importante: il valore del “tempo piccolo”, così lo chiamavo da bambino. In genere, caro Quintino, calcoliamo il tempo che abbiamo davanti in ore, settimane… anni, addirittura. Adesso, per esempio, ci troviamo a immaginare cosa ci succederà a guerra finita, dove saremo, con chi. Non pensiamo mai a quei secondi che ci precedono in continuazione. Mio padre mi diceva che in questo tempo piccolo possiamo far succedere molte cose, anche importanti, perfino capaci di modificare la nostra esistenza o quella degli altri. Il tempo che basta a dire un sì o un no, fermiamoci o avanziamo, destra o sinistra, resto oppure parto, l’abbraccio o me ne vado.

C.M.

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