Il grande disegno - Stephen Hawking e Leonard Mlodinov

Da studentessa non ho mai avuto un grande feeling con le scienze: me la cavavo bene con alcune parti delle Scienze della Terra, ma la chimica e la fisica sono sempre rimaste un mezzo mistero, probabilmente perché lo era in primis la matematica che spesso era necessaria per comprenderle. Eppure, quando i docenti di scienze sono diventati dei colleghi, ascoltandoli parlare e riflettere con i rafazzi durante gli Esami di Stato, mi sono resa conto che in quelle discipline, specialmente nella fisica, avrei potuto trovare degli stimoli rispondenti ai miei interessi (anche se rimarrà sicuramente fuori dalla mia portata tutto il sistema dei calcoli necessari ad una padronanza effettiva). La curiosità si è poi rafforzata seguendo The Big Bang Theory, la nota serie tv con protagonisti quattro scienziati nerd e la bellissima e svampita vicina di casa di due di loro; inizialmente Sheldon Cooper e gli altri mi erano insopportabili, ma poi ho iniziato a perderci del tempo e, nel mezzo di gag demenziali, sono riuscita a scorgere alcuni nodi interessanti che caratterizzano la ricerca fisica e astrofisica.
 
 
Ad un certo punto mi sono detta: proviamo a leggere qualcosa di Stephen Hawking, uno scienziato, a quanto avevo sentito dire, molto bravo anche nella comunicazione al grande pubblico. Fra i numerosi libri che ha scritto per spiegare alcuni nodi del lavoro dei fisici ho scelto Il grande disegno, scritto con Leonard Mlodinov, per il taglio storico-filosofico di cui avevo letto in sinossi, che mi ha dato l'idea di potermi prendere per mano in quella zona, l'antichità, in cui mi sento più a mio agio, per un viaggio fino alla cosiddetta Teoria del tutto.
Il grande disegno muove infatti dalle prime osservazioni scientifiche compiute dai Greci e dai miti di altre popolazioni creati per illustrare l'origine del mondo o di altri fenomeni, spiegando come si sia evoluto il concetto di legge scientifica e come siano cambiati da un lato i sistemi di osservazione, dall'altro le spiegazioni che di volta in volta si è cercato di dare. Si parte dagli studi dei cosiddetti filosofi naturalistici, con una digressione affascinante sul rapporto fra scienza e filosofia, due discipline legate dal ragionamento logico-consequenziale, fino ad arrivare alla Rivoluzione scientifica e agli studi di Copernico, Galileo e Newton e poi allo stravolgimento della fisica classica ad opera delle teorie della relatività e dei quanti.
Sebbene una parte della trattazione sia rimasta ombrosa perché in alcune sezioni del testo si entrava davvero in particolari avulsi dalla cultura generale, ho trovato un'efficace introduzione ai principi della fisica e alla differenza fra i sistemi classici di rfierimento e le più recenti impostazioni della fisica quantistica, che potrei sintetizzare (appellandomi all'indulgenza degli esperti) in un passaggio da un sistema di certezza e prevedibilità (osservabile nella quotidianità e nei grandi corpi) a un sistema probabilistico e relativistico (a livello delle particelle), con la fondamentale presa di coscienza che qualsasi osservazione scientifica non è oggettiva e certa al cento per cento, ma può essere influenzata da numerose variabili, fra cui il punto di vista dell'osservatore, che, a livelli quantistici, interagisce inevitabilmente con l'esperimento stesso. Ho compreso finalmente cosa sia una Teoia del tutto, perché mi è finalmente diventato chiaro che le leggi fondamentali riconosciute dalla fisica presentano delle caratteristiche che non permettono la loro totale sovrapposizione e, dunque, necessitano ancora di un sovrasistema che le unifichi in modo coerente (uno è la Teoria delle stringhe di cui avevo sentito tanto parlare grazie a Sheldon). Ho compreso che gli scienziati hanno da tempo accettato l'esistenza di un limite oltre il quale non è possibile determinare qualcosa con certezza, a partire dall'origine dell'universo, che ci permette di comprendere cosa sia avvenuto dopo e in che modo, così da individuare le condizioni che hanno concesso lo sviluppo della vita nel nostro pianeta, ma non quello che è avvenuto prima del Big bang, con il superamento della tendenza della scienza classica a voler indagare il passato (il che comportava necessariamente la conclusione dell'esistenza di Dio, punto fermo oltre il quale non ci si poteva spingere) in favore di un approccio basato sulla ricerca delle possibili evoluzioni future.
Ma l'aspetto che più mi ha colpita e che mi ha fatto venire voglia di proseguire su questo terreno di esplorazione è il realismo dipendente dai modelli, cioè l'idea secondo cui non esiste alcun concetto di realtà indipendente dalle descrizioni e dalle teorie e per la quale un punto di vista o una condizione strutturale influenzano il risultato della percezione. Un semplice esempio portato da Hawking e Mlodinov è quello per cui conosciamo un oggetto come la proiezione sensoriale e mentale di quell'oggetto e la consideriamo quella reale, ma altrettanto vera potrebbe essere la proiezione e la descrizione di quello stesso oggetto prodotta da chi, come un pesce, vivesse in una boccia di vetro e avesse un punto di osservazione alterato dalla superficie curva, senza però sapere di trovarsi in una boccia di vetro e non conoscendo altra forma di percezione. Insomma: non esiste una realtà unicamente descrivibile e definibile, ma un insieme di teorie che la possono spiegare e che devono essere fra loro coerenti, seppur diverse dalle teorie che si possono elaborare se adottiamo una diversa prospettiva di riferimento.
Ciò che mi affascina di questo approccio, che, non a caso, si è definito e affermato proprio negli anni in cui anche a livello filosofico e letterario ci si interrogava sul rapporto fra il reale, la percezione e la distorsione del reale, è questa riflessione sull'essere e sulle sue possibilità, che mi ha ricordato il flusso in continuo divenire in cui Pirandello riconosce la vita e che, per l'autore, può essere descritto solo adottando un punto di vista e con migliaia di possibili esiti in considerazione delle variabili in gioco nell'esperienza. In letteratura e filosofia si parla di relativismo conoscitivo, ma mi pare di capire che i due concetti si sovrappongano; se così non fosse, lo spazio dei commenti è aperto a correzioni e chiarimenti, dei quali farò tesoro.
 
C.M.

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