Oh forze mirabili e dolorose d'un pregiudizio generale!

Non meno di cinque mesi fa era tutto un proliferare di citazioni manzoniane e migliaia di Italiani scoprivano meravigliati I promessi sposi. Sì, quel tomone che a scuola è inutile, pesante e moralista, ma alla fine è diventato un utile contenuto da social network. C'era l'illusione, almeno, che attraverso le pagine sulla peste del XVII secolo e la folle caccia agli untori condivise a più riprese in quei giorni, qualche anima in più si fosse resa conto che i comportamenti irrazionali che spesso dominano nei momenti di crisi, come quelli descritti da Manzoni, non fanno che aggravarla e produrre conseguenze che poco hanno a che fare con la consapevolezza del problema di partenza. E invece.
Oggi a molti non basta più non dico qualche vetusta pagina letteraria (pazienza se si ignorasse solo quella) ma nemmeno l'esperienza diretta dei disastri prodotti dalla pandemia dall'inizio dell'anno ad oggi: non è bastata l'evidenza degli effetti devastanti degli assembramenti, non è bastata la sofferta ma doverosa battuta d'arresto cui ci siamo sottoposti, con tutti i danni economici, sociali e psicologici che ne sono seguiti, non è bastato il blocco di un sistema sanitario concentrato sulla gestione di tante situazioni e tanto gravi da richiedere enormi risorse e misure straordinarie per allestire strumenti e locali per le terapie intensive. No, la memoria si è già sfaldata, soverchiata da una generalizzata mancanza di senso civico che scaturisce dalla convinzione che regole e a volte sacrifici non siano mezzi necessari per la salvaguardia del bene comune ma inutili imposizioni tese a limitare la libertà personale.
Mascherine, igenizzazione e attenzione ad evitare contatti con estranei in luoghi affollati sono percepite ormai da qualche settimana non più come misure irrinunciabili (cosa che per alcuni non sono mai state), ma obblighi assurdi inseriti nel disegno di qualche genio del male che ci vuole controllare (pazienza, comunque, se un genio del male mi chiedesse solo di lavarmi le mani e proteggermi dall'alitosi del prossimo). Questo problema non nasce dalla gestione della pandemia, bensì da un'allarmante tendenza a non riconoscere i confini della libertà, che, come recita un noto modo di dire, finisce per ciascuno laddove inizia quella dell'altro. L'insofferenza alle regole è pervasiva: pagare le tasse è solo un dovere, rispettare i limiti di velocità è una seccatura, presentarsi in orario al lavoro una forma di controllo, consegnare il compito all'insegnante un'inutile fatica. Il genere di lamentele che da tempo sentiamo su mascherine e contenimento delle presenze nei locali pubblici non è diverso, a ben guardare, di quello di coloro che piangevano l'introduzione del divieto di fumo nei pubblici esercizi o l'introduzione dell'obbligo di utilizzo di cintura di sicurezza e casco. Il senso della privazione subita dal singolo prevale sulla riflessione in merito ai benefici prodotti o producibili con l'adozione di simili misure sulla collettività.
La ricaduta della situazione pandemica cui assistiamo in questi giorni nasce dall'ennesima prova di una mancanza di senso civico purtroppo molto diffusa, della quale scontano le conseguenze più spesso coloro che non ne hanno colpa, piuttosto che i diretti responsabili di atti di leggerezza o di deliberata infrazione delle regole. A questa sottovalutazione dei rischi hanno contribuito comportamenti osservabili in personaggi di primo piano che non hanno fatto altro che irridere le misure di prevenzione del contagio e dichiarazioni di esperti veri o sedicenti in contrasto fra loro (anche ad alti o altissimi livelli), per giunta spesso mediate, deformate o ricontestualizzate da un sistema di informazione sempre più interessato ai clic e alle reazioni sui social (anche con l'evidente intenzione di produrre polemiche inutili fra gli utenti) che all'offerta di notizie chiare e affidabili. Tutto questo si è radicato in un humus di incoscienza e ignoranza che ha prodotto un generale incattivimento e soprattutto una degenerazione dell'analfabetismo funzionale, condito con un po'di complottismo, tanto per non farci mancare nulla. Alla faccia dell'uscirne migliori e degli arcobaleni.
La situazione che abbiamo di fronte oggi, dunque, riflette un sistema di argomentazioni da quattro soldi che farebbero rivoltare nella tomba qualsiasi sostenitore della logica elementare.
Si parte dall'affermazione più intelligente di tutte, recentemente riassunta nell'infelice dichiarazione «Non ce ne è di Coviddi»: si nega il rischio, dato che non ci tocca direttamente e quindi non possiamo farne esperienza, esattamente come accadeva a febbraio, quando ci si divideva fra il panico apocalittico e il negazionismo totale, ché le mezze misure non ci piacciono.
Il secondo passaggio è affermare che, anche se il Covid c'è, non sia più responsabile di mortalità o che, se lo è, colpisca solo persone anziane (le quali, evidentemente, nella mente di costoro, possono anche schiattare e devono rassegnarsi). Al di là della totale mancanza di sensibilità che porta qualcuno a ritenere insignificante la vita di una persona sopra i 60 anni (soglia della fascia a rischio individuata nelle prime settimane di emergenza), ci si è forse dimenticati che anche individui molto giovani hanno affrontato la malattia, alcuni con ricoveri in terapia intensiva e interventi molto invasivi, e che anche fra i giovanissimi ci sono state delle vittime. Ma ammettiamo di avere la memoria corta e concentriamoci su quello che si osserva oggi, cioè l'abbassamento dell'età media dei malati, molti dei quali si stanno rivelando ex vacanzieri irresponsabili che hanno affollato spiagge e locali in Italia o spesso all'estero, vantandosi di non aver mai portato la mascherina. Magari loro sono stati così fortunati da non ammalarsi, ma hanno portato altri al contagio, anche nelle loro stesse famiglie. Quindi, riformulando, coloro che sminuiscono la portata del virus sulla base del "malato medio" sarebbero così leggeri e svagati se, pur non rientrando nella fascia più esposta, uno dei loro cari meno giovani (se ragionare su un'astratta collettività non funziona) si ammalasse gravemente?
È però la terza parte di questo fine gioco dialettico a offrirci il meglio della mentalità che sta reiterando i danni e i drammi già vissuti. Se non posso negare che si sia Covid e che possa colpire tutti, posso però sempre cercare altrove l'untore, magari in un montanaro del leccese che arriva a Milano per cercare la sua fidanzata. Ed ecco che il Covid, faticosamente tenuto sotto controllo in Italia, sbuca dall'estero, prima veicolato dai Cinesi, ora, in piena campagna elettoriale, portato dai clandestini sui barconi. Che alcuni immigrati sbarcati nella Penisola e stanziati nei centri di identificazione siano risultati positivi al Covid è un dato di fatto, ma che all'improvviso siano responsabili, da soli, di una nova ondata di contagi, quando frotte di turisti italiani stanno rientrando da vacanze sfrenate e ammettono orgogliosamente di essersene fregati per una o due settimane di qualsiasi pericolo, e quando diversi fra questi risultano a loro volta positivi, è a dir poco surreale. Sì, i Milanesi del 1630 avranno avuto i loro boni motivi per pensare che anche Renzo fosse malato, data l'alta incidenza della peste nella popolazione dell'Italia settentrionale, ma avrebbero dobuto innanzitutto applaudire alla loro genialità quando, l'11 giugno dello stesso anno, si erano messi tutti in processione in nome di San Carlo, affollando le strade della città e incolpando subito dopo della repentina crescita dei malati i non ben identificati untori, che si sarebbero mescolati alla folla per perpetrare i loro maneggi pestilenziali.
Ecco, di fronte alla risalita dei contagi di questi giorni molti, ahinoi, si stanno comportando come i Milanesi descritti da Manzoni, negando la presenza del rischio o ammettendola solo a patto di poterlo sminuire o attribuire a qualcun altro. Siamo chiari: dato l'alto tasso di immigrazione, potremmo forse prima o poi imbatterci in un clandestino malato; ma, nella nostra quotidianità, pensando alle persone con cui abbiamo a che fare, è più probabile che incontriamo un immigrato contagiato e sottrattosi ai controlli o un concittadino bello abbronzato e ancora coperto di salsedine che ha ballato in qualche locale con decine o centinaia di persone a lui sconosciute giusto ieri? Insomma un abitante della Milano del 1630 aveva più probabilità di essere contagiato da Renzo, incontrato una volta, per caso, lungo la strada, oppure dal vicino di casa o di banco in chiesa o dal compagno di bisboccia? Don Rodrigo docet.
 
I promessi sposi - illustrazione di Francesco Gonin per il cap. XXXII

Ed ecco che, il giorno seguente, mentre appunto regnava quella presontuosa fiducia, anzi in molti una fanatica sicurezza che la processione dovesse aver tronacata la peste, le morti crebbero, in ogni classe, in ogni parte della città, a un tal eccesso, con un salto così subitaneo, che non ci fu chi non ne vedesse la causa, o l'occasione, nella processione medesima. Ma, oh forze mirabili e dolorose d'un pregiudizio generale; non già al trovarsi insieme tante persone, e per tanto tempo, non già all'infinita moltiplicazione de'contatti fortuiti, attribuivano i più quell'effetto; l'attribuivano alla facilità che gli untori ci avessero trovata d'eseguire in grande il loro empio disegno.
[A. Manzoni, I promessi sposi, cap. XXXII]

C.M.

Commenti

  1. Dolorosamente profetico colui che aveva temuto un rialzamento dei contagi dopo gli innumerevoli assembramenti di questa strana estate. E poi, sì, il popolo replica se stesso attraverso i secoli, è come una massa informe che diventa un'individualità propensa alla critica del buonsenso e all'egoismo. Oltre alla saccenza, che miete sempre più vittime e dilaga, si fa contagiosa. Speriamo di poter riaprire realmente le scuole e le altre attività.

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    1. È gravissimo che ancora non si sia compreso che il ritorno alla tanto invocata normalità passa necessariamente attraverso il rispetto delle regole: trasgressori, menefreghisti e, come dici tu, tanti presuntuosi hanno prodotto danni enormi, peggiorando la situazione di cui sono stati i primi a lamentarsi.

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  2. Che dire? Mi trovi pienamente d'accordo e sono felice, per quanto lo si possa essere nell'attuale situazione, di scoprire che qualcuno la pensa esattamente come. Ogni giorno quando mi guardo intorno, tra colleghi, amici e conoscenti, sembra davvero che io venga da un altro pianeta...

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    1. La cosa più assurda è sentire i nostalgici del Fascismo e del pugno di ferro gridare alla sottrazione di libertà di fronte a indicazioni di semplice buon senso. Il rigore, a quanto pare, funziona a intermittenza e sempre nei contesti sbagliati, che non si pecchi di troppa intelligenza.

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