I libri XIV-XV delle "Metamorfosi"

Gli ultimi due libri delle Metamorfosi sono incentrati sulle vicende della storia romana o, per meglio dire, della nascita e dell'affermazione di Roma, laddove i dati propriamente storici sono ammantati e spesso sostiuiti da fantasiosi racconti mitologici.
John William Waterhouse, Circe invidiosa (1892)
Già nel libro XIII si è affacciato il motivo del viaggio di Enea, che, col pretesto di una digressione sui luoghi toccati dall'eroe troiano, si è aperto sulle vicende di Scilla, Glauco e Circe. Da qui riprende la narrazione del libro XIV, che per la metà della sua estensione fa di Circe la protagonista. La maga di Ea è autrice di incantesimi terribili, a partire da quello ai danni della ninfa amata da Glauco, trasformata per gelosia in quell'essere mostruoso che terrorizzerà i naviganti dello stretto. Successivamente, l'incontro con Macareo, uno dei compagni di Odisseo, fa pervenire alle orecchie di Enea e degli altri profughi il dettagliato racconto della metamorfosi operata da Circe ai danni dei suoi ospiti, in una progressione che segue e chiarisce le implicazioni degli incantesimi omerici. Un terzo racconto, meno noto, narra l'origine del picchio, riconducendola ad un'altra rivalsa di Circe gelosa, che avrebbe punito il bellissimo re latino Pico, fedele alla sua Canente, per aver rifiutato il suo amore.
L'artista che ha dedicato maggiore attenzione a Circe è senza dubbio John William Waterhouse, affezionato frequentatore della mitologia e particolarmente devoto alle protagoniste femminili dei racconti antichi e medievali. Circe che prepara la sua vendetta su Scilla è oggetto di un dipinto sviluppato verticalmente, nel quale la dea è raffigurata nell'atto di contaminare con i suoi veleni le acque in cui la rivale è solita bagnarsi. Nonostante il pittore scelga di dare spazio all'intera figura di Circe, risulta centrale lo sguardo rancoroso e terribile della dea, pronta a punire Glauco e la ninfa da lui amata. 
C'era un piccolo golfo profondo, delimitato da sponde arcuate, che costituiva il rifugio caro a Scilla. Ella vi si recava per ripararsi dal calore eccessivo del mare e del cielo, quando il sole dardeggiava implacabile a picco dal mezzo della volta celeste e rimpiccioliva al massimo le ombre. Prima dell'arrivo della fanciulla la dea contaminò e inquinò le acque coi veleni dagli effetti portentosi; poi vi versò un succo spremuto da una radice malefica e lasciò uscire in un mormorio dalla sua bocca di maga tortuose parole piene di mistero, mai prima udite, ripetendo la formula nove volte e ancora nove e nove. Arrivò Scilla e si immerse nell'acqua fino al ventre, e subito vide il suo inguine orribilmente cinto da mostri latranti: dapprima non si rese conto che questi facevano parte del suo corpo e fuggì, tentando di stornare da sé, in preda al terrore, i musi aggressivi dei cani.
[Traduzione dei vv. 51-63 di Giovanna Faranda Villa]
Fra i racconti sugli incantesimi di Circe si inseriscono altri episodi del viaggio di Enea, fra cui la discesa agli Inferi in compagnia di Sibilla, che spiega all'eroe le ragioni della sua lunghissima vita come una punizione di Apollo che, nel concederle, per sua richiesta, innumerevoli anni, le ha però negato la giovinezza come lei ha rifiutato il suo amore.
Infine Enea giunge nel Lazio e si scatena la guerra contro le popolazioni locali, guidate da Turno. Come al viaggio dell'eroe, così alla guerra Ovidio non dedica ampio spazio, considerando che entrambe le avventure erano ben più degnamente trattate nella coeva Eneide dal collega Virgilio, ma si concentra su alcuni episodi secondari (come la trasformazione in Naidai delle navi dei Rutuli ad opera di Cibele); così farà nel trattare le prime fasi della monarchia romana, tralasciando episodi arcinoti come la contesa fra Romolo e Remo e il ratto delle Sabine per regalare al lettore digressioni più preziose.
 
Giuseppe Arcimboldo, Vertumno (1591)
Dopo la divinizzazione di Enea si apre una rassegna dei sovrani latini, che rallenta sul regno di Proca, epoca in cui l'Amadriade Pomona suscita la passione di Vertumno, divinità multiforme di origine etrusca che presiede ai cicli delle stagioni e dei loro frutti. Incapace di conquistare la ninfa, refrattaria all'amore di qualsiasi creatura, Vertumno assume le sembianze di una vecchia e avvicina Pomona per raccontarle una storia di passione negata conclusasi col suicidio di un innamorato e il dolore dell'amata recalcitrante. QuandoVertumno riassume il proprio aspetto, Pomona si abbandona al suo amore, sancendo un beneaugurante futuro per le popolazioni del Lazio, sulle quali cadrà la benedizione di raccolti abbondanti.
La fugura di Vertumno e il benessere di cui è patrona e che lo porta ad associarlo all'abbondanza e alle messi ispira uno dei notissimi ritratti di Giuseppe Arcimboldo, che nel 1590 attribuisce a Rodolfo II d'Asburgo le sembianze del dio italico, a simboleggiare la nuova età dell'oro che dovrebbe accompagnare il suo regno.
Ma più di tutti l'amava Vertumno, eppure non aveva più fortuna degli altri. Quante volte, travestendosi da rude mietitore, ortò in una gerla le spighe, e sembrava proprio un mietitore! Altr volte cingendosi le tempie di un manipolo di fieno fresco, poteva dar l'impressione di essere uno di quelli che rivoltano il fieno appena tagliato; altre ancora reggeva in mano il pungolo e avresti giurato che aveva appena liberato dal gioco i buoi stanchi. Gli si dava un falcetto e lui si improvvisava potatore di alberi e viti; predneva sulle spalle una scala e lo avresti detto pronto a cogliere i frutti. Con la spada diventava soldato, con la canna pescatore. In breve, grazie ai più svariati travestimenti, spesso trovava il modo di intrufolarsi e godersi la visione della bellissima Pomona.
[Traduzione dei vv. 641-653 di Giovanna Faranda Villa]
Del periodo di Romolo è descritta in particolare la guerra contro i Sabini guidati da Tito Tazio, scatenata dal ratto delle Sabine, episodio così conosciuto ai lettori che Ovidio decide di tralasciarlo; l'autore predilige infatti il momento dell'assalto di Tito Tazio e dei Sabini di Curi a Roma, reso possibile dal tradimento di Tarpea, il successivo tentativo di spalancare le porte del tempio di Giano, favorito da Giunone ma ostacolato da Venere, la reazione romana e l'intervento pacificatore di Romolo, immortalato in un dipinto di Bernardo Castello in cui si vede la rinuncia del Sabino al titolo di re in favore del genero, che alla sua morte avrebbe definitivamente unito i due popoli.
 
Berando Castello, Riconciliazione fra Romolo e Tito Tazio (inizio XVII sec.)
Fu poi Romolo a dare inizio alla battaglia quando volle e la terra romana si coprì di cadaveri sabini ma anche di morti romani: l'empia spada mischiò il sangue del genero con quello del suocero. Finalmente si decise di por fine alla guerra senza arrivare agli estremi e di sigillarla con la pace, a patto che Tazio rinunciasse al regno. 
[Traduzione dei vv. 799-804 di Giovanna Faranda Villa]
Il libro XIV si chiude con la morte e la divinizzazione di Romolo e della sposa Ersilia, per lasciare il posto, nell'ultima parte del poema, al racconto del regno di Numa e ad una rapida corsa verso l'epoca augustea. Un viaggio di Numa a Crotone offre lo spunto per un'ampia digressione sulle origini della città, fondata da Ercole, e soprattutto su un illustre personaggio che l'ha eletta a sede della propria scuola, Pitagora. Al pensatore greco è affidato un lungo discorso a sostegno delle teorie del mutamento continuo (una sorta di legittimazione scientifica dell'argomento mitologico prescelto da Ovidio), della non-violenza, del vegetarianismo e della metempsicosi, in una trattazione che trasforma il libro conclusivo in una piccola lezione di filosofia.
Chiusa la parentesi pitagorica, si torna al regno di Numa e alla morte del secondo sovrano romano, con la conseguente disperazione della sposa Egeria, alla quale nemmeno il racconto di Ippolito, rinato come Virbio per volontà di Esculapio e Diana, riesce a offrire consolazione. L'incontro della donna con il semidio è l'occasione di richiamare il noto mito greco del giovane trascinato verso la morte dai cavalli imbizzarriti nel viaggio verso l'esilio a seguito delle false accuse di incesto mosse dalla matrigna, Fedra, innamoratasi di lui a causa di un intervento vendicativo di Afrodite, ma rifiutata. L'episodio, narrato in chiusura della tragedia euripide Ippolito dal fantasma dello stesso protagonista, ispira il dipinto del 1890 di Lawrence Alma-Tadema, focalizzato sul trascinamento del cadavere del giovane ateniese.
 
Lawrence Alma-Tadema, Morte di Ippolito (1890)
Venni sbalzato giù dal carro e, poiché i finimenti tenevano impigliate le mie membra, avresti potuto vedere le mie viscere vive lacerarsi, i muscoli e i nervi restare attaccati al tronco, parte del mio corpo venir trascinata in avanti, parte trattenuta e lasciata indietro; s'udivano le ossa spezzarsi con cupo rumore e si sarebbe potuta vedere l'anima sfinita spirare: non esisteva parte del mio corpo che si riuscisse a individuare perché tutto quanto era una ferita sola
[Traduzione dei vv. 524-529 di Giovanna Faranda Villa]
Seguono i racconti delle origini della pratica della divinazione, uno degli aspetti-chiave della vita religiosa e politica romana, derivato dal contatto con gli indovini etruschi, e del culto di Esculapio sull'isola Tiberina, ricondotto al volontario trasferimento del figlio di Apollo da Epidauro a Roma per placare un'epidemia mortale. Al termine della digressione (e con un passaggio a dir poco acrobatico) il tempo scorre rapidamente fino alla morte di Cesare e alla sua apoteosi, accettate come eventi necessari all'apoteosi del condottiero e all'affermazione del suo glorioso successore, di cui si predicono i successi.
Le Metamorfosi si chiudono dunque con la benedizione del principato di Augusto e con l'espressione, da parte di Ovidio, della certezza che la sua opera sia destinata all'eternità: non la distruggerà il fuoco né il ferro né il tempo, perché è indissolubilmente legata al perdurare della gloria di Roma.

Sintesi dei contenuti del libro XIV delle Metamorfosi:
vv. 1-74: Glauco, Circe e Scilla
vv. 75-440: Il viaggio di Enea
    vv. 129-153: Storia di Sibilla
    vv. 223-440: Macareo e le avventure di Ulisse
        vv. 241-440: Gli incantesimi di Circe
            vv. 320-434: Metamorfosi di Pico
vv. 441-580: Guerra di Enea nel Lazio
    vv. 460-526: Ambasceria a Diomede
        vv. 483-511: Metamorfosi di Acmone
        vv. 512-526. Origine dell’olivo
    vv. 527-565: Cibele muta in Naiadi le navi dei Rutuli
vv. 581-608: Divinizzazione di Enea
vv. 609-771: I sovrani latini
    vv. 622-771: Pomona e Vertumno
        vv. 698-764: Ifi e Anassarete
vv. 772-851: Il regno di Romolo
    vv. 777-804: Guerra fra Romani e Sabini
    vv. 805- 851: Divinizzazione di Romolo ed Ersilia 

Sintesi dei contenuti del libro XV delle Metamorfosi:
vv. 1-551: Regno di Numa
    vv. 12-59: Fondazione di Crotone
    vv. 60-478: Pitagora e le trasformazioni naturali
    vv. 479-551: Morte di Numa e disperazione di Egeria
        vv. 497-546: Ippolito rinasce Virbio
vv. 552-621: Nascita della divinizzazione e vaticinio di Cipo
vv. 622-744: Esculapio sull’isola Tiberina
vv. 745-860: Morte e divinizzazione di Cesare
    vv. 816-842: Profezia dei successi di Augusto
vv. 843-879: Congedo

C.M.

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