Morte di un maestro del tè - Yasushi Inoue

Il tè e la cerimonia di cui è protagonista sono certamente elementi ben riconoscibili della cultura giapponese, legati al Paese del Sol Levante con la stessa immediatezza con cui all'Italia si associano nel mondo il buon vino e la sua degustazione. Meno noto è che il cha no yu (cerimonia del tè) è una vera e propria arte, con profonde radici storiche e una complessa ritualità che si collega allo sviluppo dello zen. Officiare una cerimonia del tè e esserne partecipi non significa banalmente calarsi nello stile di vita nipponico, ma far propria la capacità di godere dell'armonia, della bellezza, dello scorrere del tempo, della raffinatezza e di quella complessa concezione estetica che va sotto il nome di wabisuki.
 
Parco del castello Nijo a Kyoto (foto di Athenae Noctua)

Il sistematizzatore dell'antica cerimonia del tè è considerato il monaco buddista Sen no Rikyū, vissuto nel XVI secolo, figura autorevole, capace di coniugare quest'arte raffinata con l'arte militare, al punto che i più importanti daimyō frequentavano abitualmente il suo chashitsu (sala da tè) per farsi offrire la bevanda dal maestro in persona. Forse proprio le frequentazioni o le idee politiche di Rikyū, che era legato prima a Oda Nobunaga e poi a Toyotomi Hideyoshi ma la cui compagnia era ricercata anche da Tokugawa Ieyasu, avrebbero spinto Toyotomi Hideyoshi a imporre al chajin (maestro del tè) prima l'esilio e poi il seppuku, ma il suo allievo Honkakubo, che Inoue sceglie come voce narrante del romanzo, non ne sembra del tutto coinvinto e non può smettere di domandarsi perché Rikyū non abbia voluto chiedere a Toyotomi una grazia che certamente gli sarebbe stata concessa.
 
Da questa riflessione prende le mosse il racconto di Morte di un maestro del tè, che, ben lontano da un giallo, si presenta come un percorso nella via del tè, nelle sue usanze, fra gli oggetti necessari per officiare correttamente la cerimonia nel rispetto del wabisuki, nel sistema di relazioni che si costruisce fra coloro che condividono il cha no yu o che si offrono in dono un chashaku (cucchiaio di bambù) o un kakemono (dipinte o calligrafie su tessuto). Fra le pagine del romanzo di Inoue vediamo Honkakubo incontrare diversi personaggi, in prevalenza allievi di Rikyū, che lo aiutano ad approfondire la conoscenza del maestro dopo la sua morte, a porsi nuove domande, a interpretare il suo modo di essere chajin e di rapportarsi al potere.
La densità filosofica del racconto e l'assenza di vicende vere e proprie risponde alla natura della storia ricostruita dall'autore e allo spirito secondo il quale ha vissuto il protagonista, pertanto la lettura può risultare poco avvincente, specialmente quando si rende necessario consultare l'indice dei termini e dei personaggi per non perdere l'orientamento, ma, una volta acclimatati, ci si può immergere in un pezzo di storia politica e culturale del Giappone. Non è del resto sciogliere il mistero sulle ragioni della condanna di Rikyū lo scopo di Honkakubo, bensì comprendere la coerenza autodistruttiva del maestro, l'orgoglio che gli ha impedito di chiedere il perdono, l'accettazione della morte e il suo legame con il cha no yu.

«Il nulla non annienta nulla, la morte cancella tutto!» aveva dichiarato quella notte Yamanoue Sōji nel chasitsu del Myōkian. E ciascuno dei partecipanti alla seduta ha sperimentato in seguito su di sé il valore di quelle parole, preferendo la morte al nulla. Ma che cosa bisogna intendere di preciso con il termine "annientare"? Chi o cosa viene annientato? E, soprattutto, qual è questa cosa che un chajin può cancellare solo con la morte?

C.M.

Commenti

  1. Questo mi ispira parecchio. Sono molto interessata alla cultura e alle arti giapponesi.
    Hai mai letto i saggi di Aldo Tollini?
    Anche io visitai il castello di Nijo... Visto che al momento è difficile viaggiare fisicamente al di fuori dell'Europa, bisogna armarsi di ricordi e fantasia.

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    1. No, non ho letto nulla di Tollini, anzi, dovrei proprio informarmi su cosa abbia scritto; mi consigli qualcosa?
      La visita al castello di Nijo è una delle cose più belle del viaggio o in Giappone (come tutta Kyoto, del resto), forse è quella da cui mi sono sentita più arricchita, soprattutto a livello di cultura storica.

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  2. Ho letto solo L'ideale della via. Samurai, monaci e poeti nel Giappone medievale, che mi ha parecchio colpita per come l'autore riesce a parlare di storia e storia della filosofia rifacendosi continuamente a testi originali. Certo, devo piacere questo tipo di struttura, in cui sono continuamente riportati estratti di testi letterari o filosofici.
    Conto di leggere presto Lo Zen: Storia, scuole, testi.

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    1. Se si tratta di saggistica integrata con i documenti di riferimento, è una tipologia di testo che mi interessa parecchio!

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