Orientarsi in libreria

La mia scelta di entrare o di tornare in un certo negozio dipende dall'ordine che mi trasmette, dalla disposizione della merce e degli spazi progettati per il cliente, talvolta anche dallo stile che il proprietario ha scelto per personalizzarlo; l'impressione che mi faccio di un ambiente commerciale dipende dalla possibilità di orientarmi in modo autonomo e dalla certezza che, in caso di necessità, il responsabile dell'attività sappia individuare per me ciò che non ho notato.
Con una libreria queste mie esigenze diventano ancora più importanti, al punto che non riesco più a frequentare i grandi bookstore. Di recente, passeggiando in un centro commerciale, ho fatto un salto nei punti vendita di due grandi catene di librerie, attratta da un richiamo a lungo soffocato nei mesi di lockdown, e nel successivo periodo di diffidenza per qualsiasi spostamento non essenziale, durante i quali ho fatto ricorso ad acquisti online. La libreria fisica è comunque qualcosa di irrinunciabile e ho sentito il bisogno di entrare, magari per approfittare di qualche promozione in corso.
 
 
Mi è bastato però fare due passi all'interno per ricordare subito la sensazione che mi aveva spinta a evitare librerie di quel tipo e tanto è bastato a farmi scivolare rapidamente sugli scaffali senza nemmeno dare loro la possibilità di tentarmi con qualche volume. Ero fuori prima ancora che il gel igenizzante evaporasse dalle mani.
Cosa non mi piace dei negozi delle catene librarie? Innanzitutto la convivenza, in molti di essi, di ampi comparti di cartoleria, oggettistica varia o addirittura giocattoli con i libri, che ne vengono quasi schiacciati: quando in un punto vendita scorgo questa commistione, non riesco più a classificarlo come libreria. Questo, però, è un caso limite, perché fatico a orientarmi e ad acclimatarmi anche in ambienti quasi esclusivamente votati ai libri, perché generalmente li trovo organizzati in un modo che non risponde al mio stile di ricerca di nuove letture.
Premetto che quasi sempre, quando entro in libreria, lo faccio allo scopo di comprare almeno un paio di volumi che ho nella mia infinita lista, prevedendo però che si possano aggiungere acquisti ulteriori o che un titolo non trovato sia sostituito da un altro scorto più o meno casualmente fra gli scaffali. Questa mia disposizione fa sì che l'istinto mi porti subito a individuare il comparto del negozio in cui quel volume dovrebbe stare. 
Qui subentrano in problemi, perché all'esigenza di lettrice si sovrappone quella della collezionista, la stessa che, nella libreria di casa, mi porta a ordinare i libri prima per editore e poi per autore, passando eventualmente per una suddivisione intermedia per formato o collana (più che altro per questioni di simmetria e allineamento dei profili - ma di questa mania librosa ho già parlato). Ecco, dunque, che, se cerco un libro di Italo Calvino, lo devo trovare accanto agli altri dello stesso autore; se preferisco l'edizione Einaudi di un classico alla corrispettiva di Mondadori, devo localizzare immediatamente lo spazio in cui potrei trovarla, ben separata dall'altra; se ho voglia di un nordico Iperborea, voglio visualizzare senza esitazioni quei particolari volumetti dai profili tutti diversi nelle due fasce di colore. Insomma: la disposizione per collana (quindi, quasi automaticamente, per genere), entro la quale si possono ricercare in ordine alfabetico gli autori è per me fondamentale. Anche se spesso una collana si associa anche ad un genere ben preciso, non mi disturba che un romanzo fantastico possa essere affiancato ad uno di fantascienza, ad uno storico o ad un racconto realistico.
Nelle catene, invece, ritrovo sempre una disposizione per genere, con etichette che svettano sugli scaffali e che potrebbero separare la produzione di Dante (poesia, fantasy, classici...?) in settori ben distinti e magari anche molto lontani. Il problema è che le etichette non mi piacciono, perché non sempre un giallo è nettamente distinguibile da un thriller, così come può essere sottile il confine fra fantascienza e distopia. Inoltre è fuorviante usare la semplice etichetta narrativa per identificare racconti che non siano chiaramente classificabili come storici, fantascientifici, dell'orrore, fantastici, perché qualsiasi racconto non biografico è, per definizione, narrativa. Un'altra stortura emerge con i classici, specialmente quelli greci e latini, che vengono messi nel calderone dell'antico senza più a quel punto distinguerli per genere, ma Seneca, filosofo e drammaturgo, avrebbe ragione di stare accanto a Platone tanto quanto di condividere un ripiano con Shakespeare.
Queste scelte da bookstore mi indispongono al punto che nemmeno provo seriamente a fare le mie ricerche: è una sorta di blocco psicologico e forse, se riuscissi a essere meno rigida, qualche acquisto verrebbe anche finalizzato. A questo si unisce il fatto che, quando una delle mie librerie preferite si è trasformata da autonoma a filiale di una grande catena, con conseguente cambio del personale, in più circostanze le domande che mi ero abituata a fare per cercare libri o consigli di lettura non hanno avuto le risposte che mi aspettavo, perché, più che con dei librai abituati a muoversi nel loro habitat personale, mi sono ritrovata a interfacciarmi con dei commessi che dovevano necessariamente consultare i database e che non avevano tempo per suggerimenti o per uno scambio di opinioni su un certo libro o un autore. Non ho nulla da obiettare al personale dei bookstore, ovviamente, ma nella mia esperienza (che altrove, con altre persone o in un diverso momento forse avrebbe portato a considerazioni e impressioni diverse) si è prodotta questa frizione rispetto alle mie abitudini e aspettative.
Mi è servito qualche anno per trovare un ambiente che, pur nei suoi spazi ridotti, mi restituisse l'atmosfera di una libreria e non di un qualsiasi negozio. Uno angolino nascosto, pieno di cataste di volumi eppure, a suo modo, ordinato, facile da frequentare, con tutte le collane al posto giusto, con poche eccezioni date dallo spazio delle nuove uscite, in cui si affiancano libri di editori e autori molto diversi, e in pile ordinate e rimescolate a gusto della proprietaria, sulle quali è inevitabile far cadere l'occhio e rimanere colpiti da un titolo o un argomento curioso. Ecco, lì so dove trovare i Keller, i Marcos y Marcos, gli Einaudi, i Minimum fax, i Sellerio e tutti gli altri editori; so che mi basta scendere la strettissima scala per scorrere i testi del settore ragazzi, i miei antiqui o la saggistica; so che, se volessi qualcosa di particolare o fuori dalle righe, basterebbe frugare nelle pile di chicche all'ingresso; ma, soprattutto, so che, se non trovassi qualcosa, se fossi alla ricerca di un suggerimento o di un consiglio (che non chiedo sempre, ma di cui a volte ho bisogno), ci sarebbe una persona in grado di offrirmelo e che si ricorda di me anche se porto una mascherina e sono vergognosamente mancata per due anni.
Ecco, io riesco ad orientarmi e a sentirmi davvero una cercatrice di libri solo in posti così. Poi i libri si possono comprare ovunque, ma un appassionato lettore sa che dietro la scelta di un volume può esserci molto più del solo volume.
E voi in quale tipo di libreria preferite fare acquisti? Quale disposizione dei volumi sugli scaffali vi soddisfa di più? Aspetto le vostre opinioni, le esperienze e gli aneddoti da compratori di libri.

C.M.

Commenti

  1. Ormai mi reco nelle librerie tridimensionali esclusivamente per essere sorpresa. Ciò che ho nella mia lista desideri, quello che voglio leggere, nelle librerie tradizionali, non si trova nella maggior parte dei casi o, più raramente, si può reperire in edizioni che non sono quelle che prediligo. Quando vado in libreria, quindi, mi auguro di trovare qualcosa che mi colpisca, di cui non mi era arrivata voce, ma che mi catturi.
    Per quanto riguarda la disposizione dei volumi sugli scaffali, non sono particolarmente esigente e familiarizzo con quello che trovo. Contrariamente a molti, ammetto di non apprezzare particolarmente la disposizione per case editrici e, al loro interno, per collane.
    Idealmente, se avessi effettivamente degli scaffali per organizzare i libri dove abito, in Irlanda, userei la Classificazione Decimale Dewey. In Italia, ho sempre condiviso libri e scaffali con il resto della mia famiglia, quindi ho realizzato il sogno di ordinare secondo la Classificazione Dewey solo la narrativa americana letta esclusivamente da me.

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    1. Una scelta interessante per una libreria privata: arriveresti anche ad etichettare e tenere una sorta di catalogo oppure seguiresti la Dewey in maniera più sciolta, utilizzando diversi comparti/scaffali per le diverse sezioni per poi riconoscerli sulla base della memoria spaziale?

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  2. Sicuramente seguirei la Dewey in maniera molto sciolta e mi concentrerei soprattutto sulla letteratura, più che sulla saggistica. Non userei le etichette, ma mi piacerebbe avere una sorta di catalogo. Un sogno... ci vorrebbe così tanto tempo.

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