Due parole sulla scuola che "fa schifo"

Ha fatto notizia, nel pieno di un Esame di Stato che sembra pian piano riavvicinarsi alla normalità, l'abbigliamento scelto da Francesco Intraguglielmo, lo studente di Enna presentatosi a scuola nel giorno della prima prova scritta con una maglietta sulla quale era scritto lo slogan La scuola italiana fa schifo.
Il gesto del maturando, ben inquadrato dalla sempre acuta Galatea Vaglio, sta facendo molto discutere. Dietro lo slogan c'è un progetto che, come tutto ciò che è animato dall'idea di spiccio utilitarismo, è proprio quello che sta progressivamente logorando la scuola italiana: l'asservimento al mondo del lavoro, l'intromissione dei privati nella progettazione dell'offerta formativa, l'idea di una selezione simil-privata del personale scolastico e della sua valutazione, che, come specifica la stessa Galatea Vaglio, non si capisce mai su quali basi dovrebbe avvenire. La scrittrice, che è prima di tutto una docente, coglie il punto quando dichiara che il gesto di Intraguglielmo appare più filogovernativo che rivoluzionario, perché asseconda dinamiche già in atto che, se ben esaminate, produrrebbero ben altro che la scuola attenta agli ultimi e aperta a tutti che lo studente e il movimento Rivoluzoniano la scuola afferma di voler ottenere.
 
 
Al di là della questione dei contenuti, su cui torneremo in seguito, il primo aspetto che fa vacillare la provocazione dello studente siciliano è la forma adottata, quella dello slogan asciutto, la cui portata provocatoria si confonde col facile gioco acchiappa-like. Un simile messaggio appare fuori luogo innanzitutto per la sua ambiguità: svicola sul destinatario, che, data l'occasione, sembrerebbero essere i commissari d'Esame, che in merito alla scuola non possono decidere nulla ma costantemente subiscono gli imperativi calati dall'alto; è parziale o estremamente generica o, per meglio dire, generalizzata, sul contenuto, perché quello schifo è privo di argomentazione (guarda un po': una competenza-chiave richiesta all'Esame di Stato) e perché pare contestare in toto il sistema scolastico dell'intera penisola, presupponendo una conoscenza di tutte le realtà scolastiche. In ogni caso, se, per essere compreso, il messaggio di Francesco Intraguglielmo necessita di un paratesto, tanto efficace non è, se non per scatenare una generica polemica sui social network, che inevitabilmente si polarizza fra strenui difensori di uno status quo buono a prescindere e il partito degli oppositori aprioristici, sempre pronti a polemizzare e mai a proporre soluzioni.
Appare nobile la causa di Intraguglielmo, se consideriamo gli obiettivi che si pone: una scuola nella quale si stia volentieri, che supporti gli apprendimenti di chi ha le maggiori difficoltà, che si apra a soluzioni diverse da quelle della didattica tradizionale/frontale. Non è però questo che produce l'aziendalizzazione della scuola tanto decantata. Il sistema d'impresa guarda ad un investimento che produca un tornaconto rapido, calcolabile, quantificabile, e la questione della formazione che si propone e deve proporsi la scuola è tutt'altro. Come scritto altrove, la scuola serve a formare cittadini consapevoli e non può sostituirsi alle figure preposte all'assunzione e alla formazione dei lavoratori: le materie apparentemente inutili, la strutturazione di un percorso coerente (contro la libera progettazione del curricolo che RLS auspica), un sistema di valutazione ponderato ed efficiente (che comprenda anche la bocciatura che RLS vuole abolire) sono fondamentali per soddisfare lo scopo di un sistema di istruzione.
La scuola farà anche schifo, ma viene anche da chiedersi su quali parametri e con quali competenze ci si possa esprimere sulla validità del sistema scolastico e lo si prenda di mira nella sua globalità, come se ogni sua singola parte fosse schifosa.
Eliminare le bocciature eliminerebbe lo schifo: basta sostituire i voti con la motivazione, che, a quanto pare, è innata in qualsiasi studente e viene uccisa dagli insegnanti; ma come considerare, allora, l'accusa speculare di una scuola che appiattisce, che non sa valorizzare i meritevoli? Che cosa, tolta la valutazione (che si è comunque ammorbidita negli ultimi anni), cioè lo strumento che dichiara il raggiungimento di un obiettivo o a segnalarne la mancata acquisizione, distingue un percorso di istruzione da un passatempo qualsiasi? Occorre scegliere fra una scuola del merito, che sarà pure da aggiustare e migliorare, e una fabbrica di attestati di frequenza, ma dubito che questa seconda forma di scuola faccia meno schifo della prima.
Accorciare la scuola secondaria di un anno eliminerebbe lo schifo. Peccato che gli istituti che propongono percorsi di quattro anni esistano già e che uscire anticipatamente dalla scuola non faccia apparire magicamente più offerte di lavoro. Forse c'è da chiedersi se sia la scuola a fare schifo o se non ci sia, semmai, qualcosa da rivedere in ciò che il mondo del lavoro offre in termini di riconoscimento di competenze, di opportunità, di formazione e di retribuzione.
Aprire la scuola alla libera fruizione di attività pomeridiane, ai corsi di recupero, alle attività ricreative eliminerebbe lo schifo. Ma sono al corrente i 5000 attivisti di RLS Italia e i 40 noti influencer che li supportano (evidentemente tutte figure esperte di istruzione) che molti istituti svolgono già queste attività, che al loro interno moltissime persone si spendono per incrementarle e migliorarle ma che, alla fine, è la ghigliottina dei fondi a decretare i limiti di molte iniziative? Negli istituti scolastici italiani i progetti e le energie che spingono per un miglioramento dell'offerta formativa, per la valorizzazione delle diverse intelligenze, per il recupero e il potenziamento degli apprendimenti sono tantissimi, a volte scandalosamente numerosi, in confronto alle normali attività cui gli studenti hanno diritto e che finiscono per soccombere alle troppe proposte di cui sono infarcite le giornate, tuttavia il denaro per rispondere a queste proposte non è sufficiente. È uno schifo? Sì, ma probabilmente i commissari d'Esame che se lo sono trovati scritto sulla maglietta di un candidato sono fra i tanti docenti che quotidianamente cercano di produrre un cambiamento e che vedono frustrate le loro speranze.
E qui arriviamo alla conclusione, al coinvolgimento degli insegnanti, troppo spesso visti come ostacoli, come giudici, come nemici dei loro studenti, ancora, nonostante la flessibilità della scuola, che è cambiata, e tanto, anche solo rispetto ai primi anni 2000. 
Quella che abbiamo davanti oggi non è più la scuola della lezione puramente frontale, ma è una scuola che sa sfruttare anche le potenzialità della lezione frontale; è una scuola di didattica digitale integrata (e la pandemia ha almeno avuto il risvolto positivo di stimolare le sue potenzialità); è una scuola di laboratori, imprese simulate, certificazioni linguistiche, progetti di mobilità internazionale, in cui le competenze si sviluppano nella pratica; è una scuola in cui l'aggiornamento dei docenti è spesso lasciato all'iniziativa individuale, ma che a questo deve la sua resistenza come punto di riferimento stabile; è una scuola sorretta da tanti rapporti con gli enti territoriali e che si apre alla sua comunità; è una scuola che cerca di migliorare l'inclusione, promuovendo corsi di alfabetizzazione, iniziative a sostegno della socialità e del benessere emotivo.
Certo, la scuola italiana è tutto questo a macchia di leopardo, come scrive ancora Galatea Vaglio, perché in Italia si viaggia sempre a velocità non uniforme, perché alcune aree sono più disagiate di altre, perchè l'efficacia dell'istruzione si rapporta ancora anche alle diverse situazioni sociali e familiari, purtroppo. Ma non significa che tutto sia uno schifo. Si può migliorare, perché la tensione a questo obiettivo non deve mai mancare, ma tanto è stato già migliorato rispetto alla scuola polverosa, oppressiva e giudicona che ancora viene dipinta e che pare il bersaglio dello slogan sulla maglietta.
Una semplice frase come La scuola italiana fa schifo, quindi, è uno schiaffo a chi quotidianamente si impegna per offrire la migliore istruzione possibile agli studenti, a chi, spesso senza essere proporzionalmente retribuito, spende energie, tempo e non di rado il proprio denaro per portare qualcosa in più nella scuola, in un progetto, in una proposta didattica, oltre quello che un contratto richiede. Ci sarà un po'di schifo qui e là, ma ci sono tante persone che lavorano per eliminarlo dall'interno, in silenzio, lasciando parlare le loro azioni.
La speranza è che siano sempre di più gli occhi che hanno la fortuna di vederlo.

C.M.

Commenti

  1. Mi è capitato di vedere lo studente in un post condiviso da un'amica e docente. A primo sguardo è stato evidente quello che descrivi: mera provocazione senza "contenzioso", cosa poi confermata dalle argomentazioni deboli del ragazzo. Oltretutto uscirsene agli esami con una maglietta del genere è un atto offensivo ed erige un muro fra sé - e di conseguenza il milieu degli studenti - e l'istituzione. Tu descrivi bene i punti deboli di quanto si afferma. Questo giudizio tranchant non fa che esacerbare, non è costruttivo in realtà. La trasformazione che la scuola sta subendo nell'ultimo decennio (insegnando da vent'anni posso cogliere nel complesso una trasformazione evidente) è tutta orientata verso un allineamento a metodi e mezzi del mondo anglosassone. Vedasi lo scarso peso che le materie umanistiche stanno acquisendo, la stessa storia dell'arte ridotta a disciplina complementare, il latino che sparisce da molti indirizzi dello scientifico, per dirne alcuni. Tutto orientato verso la preparazione scientifica, che comunque difetta a partire dalla scarsa preparazione degli studenti registrata nel biennio delle superiori e poi fino al termine di queste, e verso il mondo del lavoro, con metodologie discutibili perché improvvisate. Insomma, tu lo hai già descritto benissimo. A proposito del quadriennale, mio nipote frequenta il liceo scientifico a indirizzo chimico-biologico Spallanzani di Reggio Emilia, un quadriennale in cui a suo dire le discipline sono contratte per condensarle in un anno in meno e per questo non si ha il tempo di un vero approfondimento. Ci sono tagli, tempi troppo risicati, aspettative altissime. Lui ci tiene moltissimo, sogna un futuro da ingegnere nella ricerca, si impegna e ha ambizione, ma soffre. Non vede l'ora di terminare, sente di non stare facendo benissimo tutto. E lo può ben dire, visto che è una delle eccellenze dell'istituto, con voti fra il 9 e il 10. Nelle attività scuola-lavoro è stato assegnato in una farmacia. Mi saprà dire come la stia vivendo. Insomma, c'è tanto lavoro in questa scuola, io che vivo la secondaria di primo grado guardo alle poche risorse come a una coperta cortissima, che dobbiamo condividere con infanzia e primaria, ti lascio immaginare. C'è una dispersione di tempo in riunioni pomeridiane online, ricevimento genitori, dipartimenti verticali, ecc. La scuola è cambiata e non in meglio. E la motivazione all'insegnamento dovrebbe essere invece una variabile tutelata.

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    1. Io temo questa impostazione da "assaggiare di tutto un po'" che sta dietro alla contrazione delle materie umanistiche, alla mancanza di un potenziamento scientifico, che, come dici tu, viene solo promesso ma non raggiunto, alla riduzione degli anni di liceo, ai percorsi di alternanza scuola-lavoro buoni nelle intenzioni ma non sempre efficaci nella pratica (per tanti motivi diversi). Alla fine si rischia di perdere la coerenza di un percorso, che è poi, a mio avviso, ciò che gli conferisce solidità.

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