Durante la mia visita a Tokyo non ho potuto mancare una
tappa
imperdibile per gli appassionati di libri, cioè il quartiere di
Kanda-Jinbōchō, famoso per le numerose librerie, ciascuna specializzata
in una specifica tipologia di pubblicazioni. Si tratta di negozi molto
piccoli, stipati di volumi e con bancarelle piene di libri anche
all'esterno; qui e là si trova anche qualche libreria più grande e
moderna, ma sono proprio i piccoli negozi a dare a Jinbōchō la sua
atmosfera, come, del resto, caratterizzano l'identità di Tokyo tutte le
piccole attività incastonate fra i grandi palazzi della capitale. La mia
passeggiata per Jinbōchō si è svolta di domenica, nel tardo pomeriggio,
quindi sono stati poche le librerie che ho trovato aperte, ma aver
anche solo sfiorato la bellezza di questo quartiere è stata
un'esperienza indimenticabile.
Per questo motivo, quando mi sono
imbattuta nel libro d'esordio di Satoshi Yagisawa,
I miei giorni alla
libreria Morisaki (Feltrinelli, traduzione di Gala Maria Follaco), con
la parola
Jinbōchō che spiccava in apertura alla presentazione, non ho
potuto resistere: dovevo approfittare dell'occasione di respirare di
nuovo un ricordo dell'aria di questo quartiere.
Il romanzo narra
la storia di Takako, una giovane donna che, a seguito di una delusione
sentimentale, e dopo aver lasciato il lavoro, piomba in una situazione
di inerzia completa. Un po'per l'ingenuità, un po'per l'incapacità di
prendere in mano la propria vita e di affrontare in maniera consapevole
le situazioni che si trova davanti, Takako sembra destinata alla
strategia del sonno a oltranza. È lo zio Satoru a scuotere le sue
giornate: un giorno il telefono di Takako suona e la ragazza riceve la
proposta di aiutare per qualche tempo Satoru nel lavoro alla libreria
Morisaki, vanto dell'eredità paterna. Takako non è una lettrice, anzi,
in merito alla letteratura ha pochi ricordi legati alle esperienze
scolastiche, ma accettare il lavoro e l'alloggio nel piccolo
appartamento sopra il negozio è per la venticinquenne l'unica
possibilità per restare a Tokyo e non dover tornare a casa dai genitori,
nel Kyūshū. Così Takako, che pure non vede lo zio Satoru da quasi dieci
anni e che di lui sa solo che è stato abbadonato dalla moglie, si
ritrova improvvisamente a Jinbōchō, un quartiere che non ha mai visto e
del quale non conosceva nemmeno la particolarità. Inizialmente Takako affronta la novità con l'indolenza che la contraddistingue, trascinandosi a fatica fuori dal futon e ritornandoci non appena finito il turno di lavoro, ma la spontaneità e il sincero trasporto di Satoru per la sua presenza e per il proprio lavoro comincia poco alla volta a smussare la sua accidia. Takako comincia poco alla volta a vedere lo zio e la sua attività in modo diverso: Satoru, che dapprima le sembrava troppo arrendevole, e che forse per questo era a suo avviso quasi responsabile della fuga della zia Momoko, è in realtà molto stimato, al punto da essere considerato dai suoi clienti abituali il salvatore della libreria Morisaki; ha diversi conoscenti nel vicino kissaten Subouru e, introdotta la nipote nel locale, riesce a farle riacquisire il senso della socialità; ma, soprattutto, Satoru si rivela molto simile a Takako e, quando fra i due vengono condivise le prime confidenze, qualcosa si sblocca: una notte, Takako, in preda all'insonnia, prende un libro e inizia a leggere. Da quel momento il suo modo di affrontare la vita cambia: Takako, salvata dallo zio e dai libri, diventa padrona della propria vita e anche dopo aver lasciato la libreria e il quartiere di Jinbōchō un pezzo di lei resterà lì, fra Yasukuni-dōri e Sakura-dōri, laddove in ottobre si tiene il grande festival dei libri usati della città. Proprio per questo, quando Momoko ritornerà in città, Takako finirà per avere un ruolo determinante nel risolvere il mistero della sua fuga e nel comprendere le ragioni della sua ricomparsa.
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La finestra di una libreria di Jinbōchō (foto di Athenae Noctua)
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Su entrambi i lati della strada (lo zio mi aveva detto che si chiamava Yasukuni-dōri) si vedevano solo librerie, sia a destra che a sinistra. Di solito è già tanto se lungo la strada ce n'è una, invece lì erano oltre la metà dei negozi. Alcune librerie erano più grandi, come la Senseidō o la Shosen, saltavano immediatamente all'occhio, ma quelle veramente particolari erano le più piccole, che sembravano sfidare spavalde gli edifici più imponenti.
I miei giorni alla libreria Morisaki è una lettura leggera, da affrontare anche in un momento punteggiato da distrazioni, anche per l'essenzialità delle frasi e la brevità dei capitoli. La storia è estremamente godibile, scorrevole, caratterizzata da un giusto equilibrio fra la complessità delle situazioni emotive dei suoi protagonisti e un registro che si mantiene amichevole, sereno e discreto. Manca, per esser più chiari, il trasporto di un'altra storia di Tokyo di grande successo,
Le ricette della signora Tokue di Durian Sukegawa, ma si avverte comunque una profondità psicologica dietro alle azioni di personaggi, che, secondo il contegno tipico della cultura nipponica, esternano poco ma spesso sono sopraffatti da un disagio ben mascherato da sorrisi cortesi; in questo Takako mi ha ricordato Keiko, la protagonista de
La ragazza del convenience store di Sayaka Murata.
Il bilancio della lettura, quindi, è positivo, anche perché mi ha riportato a Tokyo, alle abitudini giapponesi, ai riti e alle parole di questa cultura che non smette mai di affascinarmi. Yagisawa è riuscito insomma a farmi tornare nel Paese del Sol Levante, con un piccolo e veloce aereo di carta.
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L'entrata di una libreria di Jinbōchō (foto di Athenae Noctua) |
Le circostanze inattese ci aprono porte che neanche immaginiamo. Era proprio così che mi sentivo.
E
infatti, da quel momento in poi, cominciai a leggere un libro dopo
l'altro. Era come se la sete di lettura, da tempo sopita dentro di me,
fosse esplosa all'improvviso.
Cercavo di gustarmi i libri che
leggevo, uno per volta, piano piano. Avevo tutto il tempo, e quanto ai
libri, non correvo certo il rischio di ritrovarmi senza.
Nagai
Kafū, Tanisaki Jun'ichirō, Donzai Osamu, Satō Haruo, Akutagawa
Ryūnosuke, Uno Kōji... Nomi che avevo già sentito ma di cui non avevo
mai letto niente, o che mi erano del tutto nuovi, non importava: se mi
incuriosivano, li prendevo e li leggevo avidamente. E più ne leggevo,
più volevo leggerne.
Era la prima volta che vivevo un'esperienza così meravigliosa, Mi sembrava quasi di aver sprecato anni di vita.
Smisi
di dormire a oltranza, non ne sentivo più il bisogno. Invece di
rifugiarmi nel sonno, quando lo zio mi dava il cambio correvo a elggere
in un caffé o in camera mia.
Quei vecchi libri nascondevano storie per me inimmaginabili.
C.M.
Interessantissimo. Non conoscevo questa particolarità di Tokyo. Anch’io ho avuto un periodo difficile attorno ai 25 anni e mi hanno salvato i libri, per due anni ho girato quotidianamente biblioteche e librerie di Milano, leggiucchiando e comprando. Che periodo bellissimo!
RispondiEliminaI libri sono sempre più di ciò che appaiono: un lettore sa che profondi rapporti si possano instaurare fra un lettore e il suo libro, con le molteplici relazioni che variano da individuo a individuo.
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