Oggi recensioni veloci, un po'perché non ho particolari dissertazioni da
svolgere sui romanzi che ho letto ultimamente, un po'perché il caldo mi
rende molto faticoso rimanere ferma alla scrivania. Per fortuna la
sotto-rubrica Segnalibri mi viene in soccorso in questi casi.
Essendo
estate, l'appuntamento con un giallo era imperdibile: anche stavolta
Joël Dicker si è ritagliato uno spazio in agosto con il suo ultimo
romanzo, Il caso Alaska Sanders. Si tratta di una nuova indagine
condotta da Marcus Goldman, già protagonista e narratore de La verità
sul caso Harry Quebert (di cui costituisce un seguito, sebbene il
precedente non sia essenziale per seguire la nuova narrazione). Marcus
si trova di nuovo a indagare su un caso freddo, trascinato dal rapporto che lo lega al
sergente Perry Gahalowood, conosciuto proprio ai tempi dell'indagine su
Nola Kellergan. Gahalowood, infatti, scopre che il caso dell'omicidio
dell'aspirante attrice Alaska Sanders, risalente ad undici anni prima,
potrebbe essere stato chiuso troppo in fretta con la confessione
dell'accusato, poi suicidatosi, e l'incarcerazione del presunto
complice, che non è mai stato in grado di produrre alibi e prove di
innocenza. Gahalowood riprende in mano tutta la documentazione e,
insieme a Goldman, che fatica ad uscire dall'ombra del maestro Harry
Quebert e a trovare la propria identità di scrittore, riprende le
indagini, gli interrogatori, l'esame delle prove e la ricerca di
testimoni o persone vicine alla vittima o agli accusati che potrebbero
aver omesso dei dettagli cruciali.
Il caso Alaska Sanders ripropone
uno schema ormai consueto per Dicker: un caso ormai archiviato che torna alla ribalta, rivelazioni fondamentali che all'epoca dei fatti nessuno
aveva ritenuto importanti e la figura dello scrittore-investigatore. Questo ritorno agli schemi
già noti attraverso il romanzo d'esordio e i successivi La scomparsa di Stephenie Mailer e L'enigma della camera 622, finisce per attenuare l'entusiasmo, perché il lettore sa cosa
aspettarsi (forse per questo ho indovinato chi fosse il colpevole ben
prima della fine), e rimarca la centralità di un narratore
narcisista come Marcus Goldman, sempre impegnato a farci sapere quanto
sia ricco e famoso. Al di là di questo, ho trovato il racconto molto
avvincente, scorrevole e interessante e comunque lo consiglierei a chi
abbia già famliarità con Dicker, con le sue risorse... e con i suoi
vizietti.
Il secondo segnalibro cade su Il piccolo principe di Antoine de
Saint-Exupéry, il racconto tanto breve quanto famoso dell'autore che
immagina il suo incontro, nel deserto africano dove è disceso col suo
aereo colpito da un guasto, con un piccolo ometto proveniente da pianeta
minuscolo, dove godeva dell'unica compagnia dei tramonti del sole e di
un fiore che dipendeva esclusivamene da lui. Il piccolo principe reclama
l'attenzione dell'aviatore chiedendogli di disegnare per lui una
pecora, poi inizia ad incalzarlo con domande di cui al suo interlocutore
non interessa la risposta. Ciò fa risentire il piccolo principe, che
sottolinea come non si possa essere indifferenti a ciò che può cambiare
la percezione del proprio mondo, per quanto possa sembrare
insignificante: la pecora potrà mangiare o no la rosa sul suo pianeta o
le spine saranno sufficienti a proteggerla? Non è un interrogativo da
poco: quel fiore è una piccola cosa, certo, ma per il piccolo principe è
tutto. Inizia da qui il racconto delle peripezie dell'ometto dal suo
pianeta a quelli limitrofi, alla scoperta di comportamenti bizzarri,
sciocchi o ammirevoli, che lo hanno portato a realizzare cosa significhi
guardare col cuore e costruire dei legami, anzi addomesticare, come gli
chiede di fare la volpe con lei.
La mia prima lettura de Il piccolo
principe risale a circa venti anni fa (argh!), ma ne avevo un ricordo
molto sbiadito e non ne portavo con me buone impressioni. In
qualche modo la sua stessa notorietà e il grande successo di cui gode
mi imponevano un nuovo tentativo, ma, al di là di essere riuscita a
comprendere meglio questo cammino intenso e struggente del protagonista e
il riflesso sul suo interlocutore, che necessitava di essere riportato
al pensiero semplice, diretto e genuino che aveva da bambino da un
fanciullo proveniente da un altro pianeta, non posso dire che il fascino del racconto di
Saint-Exupéry sia riuscito a catturarmi. L'ho trovato dolce-amaro,
scorrevole, piacevole, ma non potrei ritagliargli un posto particolare
nella mia libreria del cuore.
C.M.
Bellissimo Il piccolo principe, anche se credo che la storia si rivolga più agli adulti che ai bambini. Purtroppo nel corso degli anni è diventato, soprattutto in Italia, una sorta di libro-orpello per qualsiasi soggetto che volesse darsi un tono acculturato (ma senza mai andare oltre a frasette dei baci perugina) finendo per essere odiato da molti.
RispondiEliminaEcco, bravo, hai sintetizzato una verità che non avrei saputo esprimere: penso che la storia sia molto più complessa di come voglia farla apparire chi sfoggia in questo modo la conoscenza del libro. Io, se non riesco a entrare in sintonia con un romanzo, con le sue vicende o il suo messaggio, lo ammetto e non mi lancio - non saprei farlo - in una sua esaltazione, altri preferiscono, come dici tu, sfruttarlo per darsi un tono. Grazie di avermi aiutato a capirmi e a spiegarmi meglio nel rapporto con questo classico.
EliminaAnche io Il piccolo principe l'ho letto quasi 20 anni fa e mi hai fatto venire voglia di rileggerlo con uno sguardo diverso. Quest'estate sono stata a Tolosa in Francia e ho visto (da fuori) dove alloggiava il suo autore e il bar che frequentava!
RispondiEliminaA me Dicker piace molto e credo che presto leggerò anche questo suo libro
I luoghi degli autori aggiungono sempre qualcosa in più ai libri: talvolta i romanzi (ma anche i saggi) mi fanno venire voglia di visitare gli ambienti che lo hanno ispirato e più spesso "respirare" l'aria di un'opera letteraria mi porta a cercare o rileggere dei libri. Ah, la magia della letteratura!
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