Qualche anno fa, l’attore e regista Roberto Puliero, all’interno del programma L’ombretta, riservava un piccolo spazio a quelle che chiamava ‘le foto false’. Allora ero una ragazzina, ma quella sorta di rubrica, condotta con l’ironia e la comicità che contraddistinguono Puliero, ha avuto un forte impatto sul mio modo di percepire le immagini e le notizie diffuse da giornali e telegiornali. L’etichetta designava le fotografie che i quotidiani pubblicavano per certificare eventi che non potevano essere documentabili: più che di fotomontaggi, si trattava, per quel che ricordo, di immagini di repertorio o di foto che, benché molto espressive e accattivanti, erano prese da contesti diversi e piazzate in allegato agli articoli per accrescere il pathos.
Erano, in un certo senso, l’equivalente fotografico di quei filmati (molto usati nei servizi in cui si diffondono dati statistici, per cui servono tante immagini di persone prese dalle città, dai locali, dalle piazze, dai parchi) che, in pieno inverno, ritraggono persone in canottiera e shorts o di quelli che, con gusto certamente discutibile, ci mostrano attori incappucciati ripresi mentre camminano in un vicolo sporco per fornire ad un reportage l’atmosfera losca evocata dalle parole dei cronisti.
Proviamo ora a pensare all’equivalente verbale di quelle foto: non mi interessano tanto le dichiarazioni estrapolate dai contesti (che, pure, sono una pratica consolidata); piuttosto, mi riferisco all’assurdità delle interviste trasmesse nei notiziari o nei programmi pomeridiani, in quei canali, insomma, attraverso i quali si forma il giudizio della stragrande maggioranza delle persone.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjROOPaRaGb26CHOZqZLhnocwvuba8TRKEJMhecl9ReVkd54UGhQYUH9oB9sZ_qwB-6rpPb2G5YYbTBilfJcgGsXjPcsyVH6FtjDCtQLSofzN00AmOMt1nQxT6SAZMzYgsGetS_iSBygcTU/s1600/InterSviste+1.jpg)
Proviamo ora a pensare all’equivalente verbale di quelle foto: non mi interessano tanto le dichiarazioni estrapolate dai contesti (che, pure, sono una pratica consolidata); piuttosto, mi riferisco all’assurdità delle interviste trasmesse nei notiziari o nei programmi pomeridiani, in quei canali, insomma, attraverso i quali si forma il giudizio della stragrande maggioranza delle persone.
Trovo al limite della criminalità l’abitudine di scendere in strada e intervistare i passanti allo scopo di confezionare un’antologia modellata secondo il messaggio specifico che si vuole veicolare. Mi spiego meglio ricorrendo ad un esempio di stringente attualità: dal giorno dell’annuncio dell’abdicazione di Benedetto XVI i telegiornali mostrano una profusione di interviste senza tregua; la gente viene fermata di fronte alla basilica di S. Pietro, nelle vicinanze delle mura leonine, per le strade di Roma e nelle piazze di tutta Italia per dire ciò che pensa dell’avvenimento e dei suoi sviluppi. Se ci fate caso, le risposte sono sempre le stesse: «È stata una scelta coraggiosa», «Vorremo sempre bene a Benedetto XVI, lui è il nostro papa», «È un esempio per tutti», «Ha portato alla Chiesa qualcosa di nuovo che non sarà mai dimenticato» e via così. Mai una volta che abbiano mandato in onda le opinioni di chi la pensa diversamente o, più semplicemente, di coloro che non sono interessati o hanno cose ben più gravi e importanti di cui occuparsi quotidianamente.
Ci sarà stato di sicuro un passante che abbia detto «E a me che me ne importa di aver perso il papa, che sono due anni che sto senza lavoro?», o «Per quanto pensate di romperci le scatole con queste domande inutili?» o, ancora, «Ma andate a fare le inchieste sulle scuole che cadono a pezzi, invece che star qua a perdere tempo!» o, per finire, «Non mi interessa un cavolo di quello che capita ai pezzi grossi della Chiesa, mi interessa molto di più di Don Gallo, che opera a fianco dei disgraziati e della gente in miseria!».
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Avranno pur trovato qualcuno che abbia risposto in modo simile, qualcuno che abbia interpretato il fatto col cinismo e la diffidenza, anziché con le docili parole del fedele, ma lo scopo del servizio non è mai quello di diffondere la percezione delle diverse situazioni da parte della cittadinanza, bensì alimentare la tensione emotiva, cercare la lacrimuccia, far passare l’idea che l’intervista venga incontro al bisogno dei cittadini di sfogare dei sentimenti e delle opinioni che sono perfettamente in linea col tono generale del servizio: «Vi stiamo trasmettendo servizi sugli argomenti che interessano alla gente, che è scossa e commossa quanto noi» sembrano voler dire queste interviste.
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Qui è tutto, linea allo studio.
C.M.
Non posso che riconoscermi in questo articolo... I programmi che adottano questo stili, e sono la maggioranza, sono da considerare tv spazzatura a mio modesto parere.
RispondiEliminaSpacciano per informazione qualcosa che non lo è: l'informazione arricchisce, stimola la criticità, è costuttiva, non cerca di suscitare sentimenti svenevoli e, men che meno, dovrebbe macchiarsi di manifestazioni che considero puro sciacallaggio, come le insulse maratone mediatiche su omicidi e disgrazie. E vogliamo parlare di quei cronisti d'assalto che dopo terremoti o alluvioni girano fra le popolazioni colpite chiedendo se siano spaventate e sconfortate?
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