Molto lontani l'una dall'altro per la diversità dei loro peccati, sono tuttavia accomunati dal loro modo di raccontare il dramma umano che ha caratterizzato gli ultimi momenti delle loro vite. Francesca, come è noto, corre incontro a Dante nel canto V assieme a Paolo Malatesta, fratello del marito Gianciotto, facendosi largo nella bufera infernale in cui sono avviluppati i lussuriosi del secondo cerchio. Ugolino, invece, appare al poeta nel canto XXXIII mentre compie un atto bestiale: intrappolato nella ghiacciaia del Cocito (nel livello dell'Antenòra), egli tiene per i capelli il cranio aperto di un uomo e ne divora il contenuto.
D.G. Rossetti, Paolo e Francesca (1855) |
Entrambi i dannati raccontano, in presenza del loro vicino, lo svolgimento delle loro storie. Lo chiede Dante stesso, a Francesca dopo che ella stessa si è presentata e ad Ugolino in chiusura del canto XXXII, di fronte all'orrido spettacolo del suo pasto infernale. Entrambi reagiscono allo stesso modo alla richiesta del poeta, che vuole capire come siano nati l'amore di Francesca e Paolo e l'odio di Ugolino e Ruggieri (ma di questi ultimi ancora non conosce l'identità).
Sia Francesca che Ugolino lamentano in primo luogo la sofferenza del ricordo cui Dante li costringe con le sue domande, ma, anche se non volessero rispondere, la Provvidenza che ha voluto il viaggio oltremondano del pellegrino lo imporrebbe loro.
Così Francesca, che ha il coraggio di parlare, mentre Paolo singhiozza e non osa proferir parola (Inf. V, vv. 121-126):
Queste, invece, le prime parole che Ugolino, sollevate le fauci dal cranio marcio di Ruggieri, rivolge a Dante (Inf. XXXIII, vv. 4-9):E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore.
Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.
La similarità fra le due scene, dunque, non si limita alla presenza, sulla scena infernale, di due peccatori parlanti affiancati dai compagni di dannazione muti, ma si riproduce nella scansione delle loro risposte.Poi cominciò: «Tu vuo’ ch’io rinovelli
disperato dolor che ’l cor mi preme
già pur pensando, pria ch’io ne favelli.
Ma se le mie parole esser dien seme
che frutti infamia al traditor ch’i’ rodo,
parlar e lagrimar vedrai insieme.
Per entrambi, richiamare le circostanze del peccato (sebbene per Francesca questo coincida con un momento sentimentalmente gioioso) è motivo di enorme sofferenza, cosicché il loro parlare è inevitabilmente legato al pianto, come si vede dall'apertura e dalla chiusa delle due coppie di terzine esaminate. La seconda delle due terzine, in ciascuno dei due esempi, si apre con una proposizione avversativa, che sancisce la necessità della confessione richiesta, che per Francesca esaudisce un desiderio di Dante, mentre per Ugolino è allo stesso tempo l'occasione per gettare infamia sul suo nemico silenzioso. Interessanti sono le metafore qui usate per le notizie riportate dai due dannati: Francesca sottolinea come la sua risposta spieghi la radice del suo amore per Paolo, mentre per Ruggieri soddisfare la curiosità di Dante significa seminare una pianta che possa crescere rigogliosa a denunciare l'infamia dell'arcivescovo Ruggieri. Nel canto V si allude ad una pianta d'amore, per quanto di un amore peccaminoso e radicato in un'esperienza letteraria che Dante non tarda a rinnegare e che provoca in lui un senso di pietà soverchiante, mentre nel XXXIII oggetto di attenzione è una 'pianta dell'odio'.
Franz von Bayros, Paolo e Francesca (1921) |
Seguono i racconti appassionati dei due peccatori, con quello di Ugolino che occupa molto più spazio della ricostruzione di Francesa, la quale già nel suo presentarsi ha anticipato molte informazioni. Entrambi i racconti si chiudono con una sorta di zumata sulle bocche dei peccatori, quella di Francesca tremante nel bacio di Paolo, quella di Ugolino volta al suo macabro pasto, con i denti che affondano nelle ossa craniche di Ruggieri.
Ma ciò che più risulta speculare nei due episodi è la proverbiale reticenza di Francesca e Ugolino. Nel ricostruire le storie di questi personaggi, infatti, Dante può avvalersi del supporto della memoria dei suoi lettori, poiché parlare di Francesca da Rimini o di Ugolino della Gherardesca equivaleva a nominare grandi personaggi della politica nazionale odierna, con quel misto di pettegolezzo che in nessuna era si è lasciato desiderare. In ogni cantica, per ogni parola che Dante fa pronunciare ai suoi personaggi si aggiungono le reminescenze e gli aneddoti che circolavano sulla bocca di molte persone che con l'autore condividevano un retroterra storico e culturale. Per questo il poeta può celare alcune notizie, approfittandone per stuzzicare la curiosità dei contemporanei e quella dei lettori e dei critici successivi.
Vediamo come si chiudono i due interventi, partendo da quello di Francesca (Inf. V, 133-138):
Queste, invece, le parole di Ugolino, dopo che egli ha descritto la sua prigionia nella torre della Muda, il sogno premonitore della morte e lo strazio dei figli, disposti a farsi pasto per il loro padre di fronte al mordersi le mani di Ugolino, da loro inerpretato come segno di fame ansciché di disperazione (Inf. XXXIII, vv. 67-75), fino alla morte del piccolo Gaddo, che implora invano aiuto:Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante.
Quivi morì; e come tu mi vedi,
vid’io cascar li tre ad uno ad uno
tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’io mi diedi,
già cieco, a brancolar sovra ciascuno,
e due dì li chiamai, poi che fur morti.
Poscia, più che ’l dolor, poté ’l digiuno.
J.B. Carpeaux, Ugolino e i suoi figli (1866) |
Nel caso di Francesca molti critici optano per la seconda lettura, al punto che Umberto Bosco e Giovanni Reggio escludono categoricamente che i due amanti siano stati sorpresi e uccisi nel momento stesso del palesarsi del loro amore, mentre Robert Hollander arricchisce l'idea di una 'conversione' di Francesca all'amore basandosi sulla citazione del passo della conversione di Agostino (Confessioni VII, 12) veicolata dalla lettura della lettera ai Romani di San Paolo (13, 13-14, in cui si legge «nec ultra volui legere»), proponendo un'accattivante lettura di una Francesca condotta alla lussuria e alla dannazione da Paolo, un uomo che reca lo stesso nome di colui che, con le sue lettere, indusse Agostino alla purificazione e alla santità.
Quanto ad Ugolino, la faccenda è ancor più controversa, perché, se Francesco De Sanctis nega che Dante si riferisca all'antropofagia, le allusioni continue al 'divorare' presenti fin dall'apparizione di Ugolino e l'invito dei figli ad Ugolino stesso affinché si cibi delle loro carni sembrano l'ovvia conclusione del racconto, come sostengono altri critici e lo stesso Hollander, che, però, fa leva per la sua interpretazione sull'osservazione del commentatore Guido da Pisa, secondo cui un uomo dell'età di Ugolino non avrebbe potuto sopravvivere per i sette giorni indicati nel dialogo con Dante, a meno di non essersi cibato dei corpi dei morti.
Di fronte a questa impossibilità di avanzare una lettura sicura, la conclusione più onesta e più ovvia sembra quella avanzata da Jorge Luis Borges nei suoi Saggi danteschi, che ricalca la posizione di Natalino Sapegno e che è stata recentemente ripresa da Susanna Fresko: quello che Dante ci vuole offrire non è una soluzione, ma un dubbio. Ugolino ha un'anima lacerata, fatta a pezzi come il cranio del suo nemico, dilaniata dalla consapevolezza della sofferenza inferta ai figli e, forse, dalla tentazione di sopravvivere cibandosi dei loro cadaveri.
Ugolino e Francesca sono pur sempre dei dannati e la condizione del dannato è quella del dubbio, del pentimento, del rimorso, di un dolore che strazia lo spirito e cui non si può offrire alcuna soluzione, perché non si può liberarsi dalla burrasca infernale, né fuggire dalla torre della Muda, così come dal Cocito. Ciò che continua a vivere nei peccatori consegnati alla voragine infernale è il dolore di un passato che non può essere cambiato e, infondendo in noi lettori l'impossibilità di dare una soluzione ad un fitto mistero, Dante ci suggerisce la complessità e il groviglio di queste anime senza pace. E lo fa evocando tale sofferenza attraverso due forse opposte e comuni a tutti gli esseri umani: l'amore e l'odio.
G. Doré, Ugolino e i suoi figli nella torre |
C.M.«Nella tenebra della sua Torre della Fame, Ugolino divora e non divora gli amati cadaveri, e questa ondulante imprecisione, questa incertezza, è la strana materia di cui è fatto. Così, con due possibili agonie, lo sognò Dante, e così lo sogneranno le future generazioni.» (J.L. Borges)
Dato che per quest'anno è l'ultimo appuntamento con gli itinerari danteschi, abbandono la timidezza e ti ringrazio pubblicamente per questi tuoi meravigliosi articoli!
RispondiEliminaLi seguo con un interesse e un affetto grandissimi.
Non ho una gran cultura né gli strumenti per capire appieno tutto quanto, ma la mia passione per la Commedia di Dante supplisce un po' alle mie mancanze :)
I tuoi scritti sono anche fonte, per me e certo per molte altre persone, di stimoli culturali (e umani) e di vero e proprio arricchimento.
Dico questo senza piaggeria, anzi con grandissima gratitudine e simpatia :)
Colgo l'occasione per farti miei migliori auguri per un fruttuoso nuovo anno!
Con molta stima.
Orlando
Grazie di cuore, Orlando, sono lieta di aver contribuito ad approfondire alcuni temi e di aver proposto argomenti che hanno suscitato interesse, e non immagini quanto sia onorata di queste tue parole.
EliminaNaturalmente anche con la fine dell'anno continuerò a parlare di Dante, ché senza di lui la letteratura non sarebbe la stessa.
Ricambio gli auguri di un felice 2016, sperando di continuare a meritare una tale stima anche nel nuovo anno (e in quelli che verranno dopo)!
Che meraviglia *__* Forse il tuo post più bello dell'anno, per me! Emotivamente le vicende di Francesca e Ugolino sono entrambe potentissime, penso tra quelle che più si ricordano negli anni.
RispondiEliminaApprofitto per augurarti un Felice 2016 ^_^
Ciao, Glò, e grazie per questo entusiasmo! Quelle di Francesca e Ugolino sono certamente figure molto affascinanti, e non avevo dubbi che, parlando di loro, avrei toccato qualche corda vibrante... ma non avrei mai pensato che diventasse addirittura il tuo preferito! ^_^
EliminaRicambio con affetto gli auguri, che comunque porrò in maniera ufficiale anche con l'ultimo post dell'anno, dedicato al tradizionale bilancio! :)
Notevole percorso questo confronto.
RispondiEliminaCiò che mi ha sempre fatto pensare riguardo agli eterni versi danteschi è proprio uno degli aspetti su cui ti soffermi: il senso del rimpianto per le cose perdute per sempre, il dolore per ciò che si è perso per sempre. L'umanità che trasuda da questi personaggi è travolgente e struggente. Ottimo spunto per i miei alunni questo tuo post.
Brava, Cristina.
Trovo che nessuno come Dante abbia saputo rendere la complessità dell'animo umano, riuscendo a descrivere l'estremo dolore e la gioia inarrivabile in una stessa opera. In Francesca, poi, ha riversato una riflessione ancor più complessa, in confronto alla quale qualsiasi intervento critico risulterebbe debole e manchevole.
EliminaSono contenta che abbia apprezzato il post e ti ringrazio, ho investito tanta passione in queste righe!
Ciao! Bellissima analisi!! Questo articolo mi è stato segnalato da una collega di italiano (io insegno matematica) dopo che ho pubblicato un breve video in cui faccio una simile analisi: scoprire il tuo articolo è stato davvero una gioia!
RispondiEliminahttps://m.youtube.com/watch?v=UdVhO4-Dvbw&t=60s
Ringrazio la tua collega, che ha contribuito a far conoscere questo mio modesto post, ma grazie anche a te per aver lasciato il collegamento al video: ho ascoltato volentieri la tua analisi, di questi due canti, dei quali non ci si stanca mai!
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