The Truman Show (Peter Weir, 1998)

Prima ancora del boom dei reality-show, The Truman Show ne ha raccontato le storture, i paradossi e gli aspetti più grotteschi. Il film diretto da Peter Weir e portato sugli schermi nel 1998, è sorretto da uno straordinario Jim Carrey, che si muove in un caleidoscopio di comparse e trova un contraltare soltanto nella gelida figura di Ed Harris, premiato per la sua interpretazione da non protagonista con l'Oscar.

Nel più grande studio cinematografico mai realizzato, unica struttura artificiale visibile dallo spazio assieme alla Muraglia cinese, nasce e cresce sotto gli occhi di tutti coloro che possiedono un televisore Truman Burbank. Ignaro di essere la superstar del più acclamato show di tutti i tempi, creato dal regista Christof, Truman conduce un'esistenza regolare a Seahaven, nella sua bella casa con la moglie Meryl e lavorando nell'ufficio di una compagnia assicurativa. Non lascia mai Seahaven, perché staccarsi dall'isolotto vorrebbe dire percorrere il mare, che per Truman rappresenta una paura insormontabile dal giorno in cui ha perso il padre in una tempesta. Un giorno, però, il padre creduto morto ricompare: anche lui è un attore come tutti gli altri e, scontento di essere stato eliminato dal cast (al solo fine di produrre in Truman un trauma che lo inducesse a stare lontano dal mare) o per il desiderio di rivedere il figlio, si infiltra sul set. Questa apparizione mette in confusione Truman, che inizia a chiedersi perché tutti, intorno a lui, sembrino nascondergli qualcosa. Gli torna in mente un incontro di giovinezza, quello con la bella Lauren, che, sfuggendo alle telecamere, aveva tentato di rivelare a Truman il perverso disegno orchestrato per lui ed era poi sparita. La ricomparsa del padre, l'atteggiamento falso della moglie, inserita nella trasmissione come regina delle pubblicità, e alcuni incidenti tecnici, tra cui la caduta di un faro dalla cupola celeste e un'interferenza con la regia, risvegliano in Truman il ricordo degli avvertimenti di Lauren, lanciandolo in un disperato tentativo di fuga dalla realtà artificiale da cui si sente ormai soffocato.
The Truman Show ha tutti gli ingredienti per essere considerato un film profondo e travolgente, anche se si esprime con una forte e continua amarezza. La filosofia di fondo, infatti, affida al mondo del cinema la trattazione di un potente tema letterario, per il quale si sono messi in luce autori del calibro di William Shakespeare, Calderon de la Barca e Luigi Pirandello: la vita come una recita continua. «Il mondo è un palcoscenico e noi siamo gli attori» diceva il Bardo dell'Avon, che in Amleto ha dato una delle più ingegnose prove di teatro nel teatro, mentre l'autore siciliano ha affrontato in tutte le sue opere il lacerante divario fra la realtà e l'apparenza, fra le maschere e l'autenticità, fra i ruoli che ci vengono imposti o che assumiamo volontariamente e i comportamenti istintivi o le reali aspirazioni che vorremmo inseguire. Insomma, Truman è un po'Belluca de Il treno ha fischiato, un po'Amleto, un po'Mattia Pascal, allarmato da uno strappo nel cielo di carta, da un incidente che fa apparire il teatro come tale, ma anche un po'Zeno Cosini nel suo ritrovare l'autentico in una fuga dalla realtà, a costo di apparire un pazzo o di ascoltare chi, come Lauren, è definito tale. Del resto al tema della maschera si accompagna indissolubilmente quello della follia, giacché chi denuncia la finzione è destinato ad essere bollato come malato di mente e ad essere invitato a rinsavire, ad adeguarsi alle forme rassicuranti proprio per la loro natura programmata e controllata.


L'interrogativo che Christof, una sorta di Big Brother che accentua la distopia del mondo di Seahaven, pone a Truman durante la fuga, del resto, è il cardine antropologico del mondo contemporaneo: è preferibile vivere al sicuro in una realtà artificiosa e innaturale, anche rinunciando alla propria libertà, o è invece il caso di lottare per strappare la scenografia e i costumi che ci danno quella serenità per rivendicare il diritto all'autodeterminazione?
The Truman Show è un film complesso, da vedere, per cui soffrire, se necessario.

C.M.

Commenti

  1. Stupendo film, e stupenda la colonna sonora di Philip Glass (se non ricordo male). Sia questo che il più sbarazzino "EdTV" avevano messo in guardia dalla piaga dei grandi fratelli vari, ma non c'è stato niente da fare e il morbo è esploso potente.
    Sembra che se cerchi di mettere in guardia da un problema... rendi stuzzicante il problema stesso!

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    1. Anche in questo Pirandello insegna: più ci si addentra nella realtà e si smascherano i suoi paradossi, più la massa rifiuta di conoscerla e si lascia sommergere dall'assurdo...

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  2. Uno dei miei film preferiti, di cui da tempo vorrei parlare sul blog (in un post recente confessavo che Peter Weir è il regista di uno dei miei film preferiti e di quello che più detesto... :-) ). Credo che gli anni trascorsi gli abbiano fatto bene, perché lo trovo sempre più bello e attuale a ogni visione: geniale il finto lieto fine, che non lascia molte speranze per gli spettatori.

    Bellissimo il tuo paragone con Pirandello, mi ha ricordato che in quinta superiore avevo accarezzato l'idea di portare all'esame un percorso su Pirandello e Philip Dick: non tanto campato in aria (nonostante il dissenso del mio insegnante) dato che The Truman Show proviene in effetti da un romanzo di Dick.

    Nello stesso filone si inserisce un recente romanzo di Alessandro Vietti, Real Mars, lo conosci?

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    1. Per me Pirandello potrebbe anche occupare un intero anno scolastico: da solo basta ad esaurire i temi più spinosi del nostro tempo e ad illuminare tutto il buon cinema, tutta la buona narrativa, tutto il buon teatro. Quando uno è geniale, c'è poco da fare: Luigino ha visto lungo e ha visto profondo.
      Non sapevo dell'ispirazione di Philip Dick, né conoscevo questo Realm Mars di cui parli: sarà il caso che mi documenti!

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    2. Devo ammettere che, dopo un certo fascino subito alle superiori, oggi non sono così estremo su Pirandello (che preferisco nelle novelle e teatro, meno nei romanzi). Però è vero che i suoi spunti di riflessione sono ancora attualissimi.

      Pare che Peter Weir volesse fare un film su "Tempo fuor di sesto" di Dick, ma non riuscendo ad acquistarne i diritti ha sfruttato l'idea di una cittadina costruita intorno a un uomo, per farne una storia originale molto più interessante.

      Su Real Mars: http://blogsenzapre7ese.blogspot.it/2016/04/il-voyeurismo-cosmico-su-real-mars-di.html

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    3. Non sono amante della fantascienza, ma mi attrae la distopia, quindi terrò presenti questi suggerimenti, in particolare il romanzo di Dick!

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  3. Ignorantissima, non lo conoscevo. Sembra davvero molto interessante, però!

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  4. Ecco, questo è un film per il quale non riesco a entusiasmarmi nonostante piaccia a moltissime persone :D Riconosco tutte le tematiche che hai sviscerato nel post, la buona realizzazione, la mia poca empatia con l'attore protagonista (che ha il suo peso)...
    A prescindere da ciò, le suggestioni che derivano sono moltissime (anche più strettamente filosofiche), vale la pena sicuramente vederlo almeno una volta!

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    1. Immagino che in un film di questo genere, tutto incentrato sul personaggio principale, sia facile che il giudizio stesso sia associato all'attore protagonista, quindi, se Jim Carrey non piace, comprendo che ne sia compromesso anche il gradimento...

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  5. Glò, e dici a me per L'attimo fuggente! :-)

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