Chi è Gustaf Eisen? Sembra un biologo, eppure è anche un fotografo, un artista, un botanico, uno dei più cari amici dello scrittore Johan August Strindberg, nonché il fondatore del Sequoia National Park, in California. La verità è che la personalità di questo personaggio, vissuto fra il 1847 e il 1940, è inafferrabile, indefinibile, oltre che poco conosciuta, nonostante il suo nome si leghi al parco naturale più antico degli Stati Uniti dopo quello di Yosemite.

Il risultato è una narrazione breve ed estremamente rilassante che, passando attraverso curiosità di ogni tipo, che spaziano dal mondo dei vermi a quello dei sirfidi, passando per le alghe e le sequoie, ci presenta un personaggio eclettico e originale, autore di un'enorme collezione naturalistica e di una grande quantità di scritti andati quasi interamente perduti nell'incendio seguito al terremoto di San Francisco del 1906 o per la confusione generatasi nella catalogazione dei risultati delle sue ricerche a causa delle diverse trascrizioni del suo nome. In realtà le vicende vere e proprie si perdono in un concentrato di aneddoti particolari e pillole di lezioni di storia naturale, ed è bene che il lettore sia preparato a questo tratto originale della scrittura di Fredrick Sjöberg (ma lo è di certo se l'ha già sperimentata con il ritratto di René Malaise).
Anche ne Il re dell'uvetta l'autore ritaglia, all'interno della digressione biografica su Eisen, uno spazio per sé, raccontandosi di una spassosa bravata giovanile, dell'acquisto della casa per la famiglia che si sta allargando e di come la sua collezione di sirfidi è approdata alla Biennale di Venezia nel 2009, dimostrandosi capace di gareggiare con l'arte prodotta dall'uomo. I due libri, del resto, vanno letti in continuità, tenendo presente che il collezionismo, anche e soprattutto se circoscritto a categorie molto particolari, quando, cioè, diventa pura bottonologia, è davvero arte.
La storia di René Malaise mi aveva incantata maggiormente, forse per la novità rappresentata da questo genere di storia e dal modo dell'autore di raccontarla, ma le avventure di Gustav Eisen si sono rivelate comunque molto interessanti. Alla riflessione sull'importanza di assaporare e gestire il tempo che Sjöberg affronta ne L'arte di collezionare mosche si sostituisce qui un inno all'ingenuità e alla curiosità che conduce Eisen, attraverso degli insetti apparentemente comuni, ad ampliare i propri orizzonti e ad imbattersi in nuovi interessi che aprono molteplici strade ed esperienze. Come scrive Fredrick Sjöberg, Eisen è come un bambino (nel senso positivo del termine), sempre teso a nuovi stimoli, instancabile ricercatore della conoscenza e di nuovi schemi per classificare la realtà che lo circonda, al punto di convincersi di aver trovato addirittura il Santo Graal.
Fredrik Sjöberg al Festivaletteratura 2016 (foto di Athenae Noctua) |
Da questo punto di vista la collezione di mosche è un concentrato di felicità spensierata. Se ha qualcosa da dire, è che la libertà ha inizio quando si fa un passo di lato e, magari solo per un attimo, ci si occupa di qualcosa che è fine a se stesso, che non ha a che fare con una vana ricerca di rispetto, stima, potere, denaro, amore, fama… gloria.
C.M.
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