Leggere il mondo classico: due proposte

La coscienza del passato è un valore che perde progressivamente importanza, soprattutto oggi che siamo ossessionati dal presente, un presente istantaneo, da consumare in pochi secondi e da spazzare via in fretta per far spazio a qualcos'altro. Neanche il futuro sembra importare poi molto, dato che la tendenza generale, in molti campi, è quella di cercare il risultato immediato e di non dar peso alle conseguenze sul lungo termine delle scelte che facciamo.
Riappropriarsi della tridimensionalità del tempo è però fondamentale e non per un nostalgico culto di un passato che può essere maestro del futuro e della vita, ma per l'insostituibile contributo che dà la competenza storica alla formazione delle capacità di essere individui autonomi e capaci di ragionare criticamente su questioni del proprio tempo, leggere fra le righe di avvenimenti, messaggi e fenomeni ed essere pienamente consapevoli.

La cultura classica, con le sue istituzioni, le sue sperimentazioni, le forme dell'arte, il pensiero filosofico e scientifico, ha in questo senso un ruolo fondamentale, anche se è la grande vittima del presentismo, tacciata di non servire a niente, di essere un vezzo, un ornamento pomposo. Proprio il mondo classico, greco e romano, è però una chiave preziosa per allenare il senso critico e, per noi Europei e soprattutto Italiani, una presenza costante e, come tale, più che un semplice sfondo. Ciò che lo rende così prezioso è il suo essere per molti aspetti simile a noi e per molti altri molto diverso: esso ci offre, come sostiene Salvatore Settis, una straordinaria occasione di definire la nostra identità nella similarità e ancor più in senso antitetico, produce uno spiazzamento critico, una necessità di sperimentare un dialogo interculturale interno a noi stessi.
Due testi recenti, scritti da straordinari narratori del mondo classico e editi da Einaudi, mettono in luce aspetti differenti della cultura antica: uno descrive le istituzioni delle due maggiori poleis greche e riflette sulla creazione dei loro miti e sulle trasformazioni di questi ultimi in epoca moderna; l'altro interviene sull'utilità del retaggio greco-romano nell'accesso al nostro presente. In entrambi i casi la riflessione storico-culturale opera in quella tridimensionalità di cui si è scritto sopra.

Eva Cantarella è l'autrice di Sparta e Atene - Autoritarismo e democrazia, in cui si sofferma sull'organizzazione politico-sociale delle due potenze elleniche che, pur unite da molti fattori e dalla co-costruzione del mito della resistenza contro i Persiani, hanno però sviluppato e cercato di estendere forme istituzionali diverse, divenute nel tempo oggetto di strumentalizzazioni di ogni tipo. Nel libro si evidenzia a più riprese come Atene abbia goduto di maggior fortuna, nell'opinione pubblica, anche grazie alla vivacità delle testimonianze di filosofi, poeti e oratori, ma qui le due poleis vengono poste in un serrato confronto, che arriva ad indagarne anche aspetti poco noti, primo fra tutti quello dei rapporti fra i sessi. Sulla dicotomia uguale-diverso, dunque, si fonda la ricerca del saggio di Eva Cantarella, che chiude questa prova di vite parellele con una riflessione sull'uso del passato nei secoli e ancora nel linguaggio della politica internazionale, segno che un canale di comunicazione col passato continua ad esistere e deve essere colto per poter comprendere pienamente anche questioni fondamentali del dibattito contemporaneo.

Più ampio, in quanto di diverso argomento, è il respiro dell'indagine di Maurizio Bettini, che titola il suo intervento A che servono i Greci e i Romani? sottolineando l'ambiguità di quel termine servire al quale spesso non riconosciamo il giusto peso. Bettini affronta nel suo libro riflessioni che si diramano in molte direzioni, contenendo ciascuna in un breve capitolo e toccando giustamente anche il problema dell'educazione classica e del contributo che la competenza nella lingua greca e latina può offrire alla riflessione interculturale, ma gli apetti più interessanti riguardano le storture terminologiche associate al mondo della cultura, sempre più piegato alle esigenze economiche e sempre meno valorizzato come insieme di esperienze formative in senso intellettuale e il tema, strettamente connesso, della valorizzazione dell'eredità culturale, quel fattore che distingue il turista che mira solo a scattare un selfie di fronte ad un monumento da quello che ne gode effettivamente.

Non può esistere infatti conservazione senza memoria: i monumenti e le opere d'arte muoiono se le generazioni ne ignorano il contesto e il significato, così come le ragioni che li hanno prodotti e la cultura che nel tempo da essi è scaturita. [...] L'impegno che, come sancito dall'articolo 9 della Costituzione, la Repubblica contrae con il patrimonio storico e artistico della Nazione non può riguardare solo la tutela materuale dei monumenti, ma anche (e forse soprattutto) la memoria culturale che a tali monumenti si lega presso i cittadini: la luce necessaria perché essi risultino visibili. Che cosa intendiamo con «memoria culturale»? Quella consapevoleza diffusa del passato, condivisa da una certa comunità, che risulta non soltanto dalla conoscenza storica degli eventi trascorsi (una memoria che, nelle sue forme più elaborate, appartiene soprattutto ai frequentatori di archivi e biblioteche); ma anche dal patrimonio di racconti, tradizioni, immagini che formano la sostanza condivisa del passato nella consapevolezza di una comunità. Si tratta di quella memoria che è contemporaneamente un mezzo di comunicazione, una vis capace di "farci intendere" quando parliamo di noi e del nostro passato all'interno della comunità nazionale: e quando, soprattutto, ci troviamo di fronte ai monumenti che esso ci ha lasciato. [...] Se la Repubblica ha il dovere di tutelare i nostri beni storici e artistici - ovviamente con un impegno di fondi purtroppo mai sufficiente - a fronte di questo dovere sta però anche un diritto: quello di tutti i cittadini a usufruirne. [...] Tale diritto però non può che passare attraverso l'istruzione impartita nelle scuole e la promozione della cultura: ossia ancora una volta mantenendo viva - nella consapevolezza comune - la memora culturale che dà senso a questo patrimonio. Non si può usufruire, tantomeno godere, di qualcosa il cui senso o valore resta semplicemente al di là del nostro orizzonte di coscienza.

Conoscere e leggere il mondo classico è dunque un'opportunità di formazione che ci permette di godere consapevolmente di un'eredità culturale, della memoria entro la quale si realizza il nostro essere cittadini oggi. Perché essere individui non significa meramente esistere, ma essere partecipi, protagonisti, direttori, fautori della propria esistenza, non subire un contesto ma contribuire a trasformarlo con un'interazione continua, autonoma e proiettata oltre i limiti di un bisogno estemporaneo.

C.M.


Commenti

  1. Concordo! Guardare al passato aiuta a capire come siamo arrivati al presente, quali errori possiamo evitare e migliorarci per un prossimo futuro. Anche in letteratura secondo me è una tappa necessaria da fare anche perchè se non avessi studiato l'Iliade o La Divina Commedia o I Promessi Sposi a scuola (cosa che lì per lì mi pareva inutile) forse oggi non riuscirei ad apprezzare praticamente nulla di quello che leggo

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    1. Purtroppo questa capacità di "abitare" il mondo da un punto di vista culturale, riuscendo a inserirsi in un dibattito storico, letterario, artistico e filosofico, è sempre più considerato un inutile accumulo di conoscenza e si sottovaluta il contributo di tale sapere alla formazione della consapevolezza personale. Il dialogo col passato, in tutte le sue forme, come dici tu, apre gli occhi su tanti aspetti del nostro tempo, cambia il modo di leggere un libro, di apprezzare ciò che vediamo, di comunicare con le persone.

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