Segnalibri #4

In questo periodo gran parte delle mie letture è orientata all'approfondimento di temi legati al programma di italiano o latino, pertanto i libri scelti per puro piacere sono stati un po'schiacciati dal lavoro. Sono ormai abituata a questa situazione, prevista e inevitabile quando si avvicina la fine dell'anno scolastico. Ecco perché agli ultimi romanzi letti voglio dedicare un post comune, il quarto della rubrica Segnalibri. Si tratta di due testi molto diversi nel genere: Tornare a casa, della scrittrice tedesca Dörte Hansen (Fazi), e Le sette morti di Evelyn Hardcastle dell'inglese Stuart Turton (Neri Pozza).


Era da un po'che avevo Tornare a casa sullo scaffale ad aspettarmi e, con un'attesa più lunga del previsto, si il romanzo di Dörte Hansen si è infine guadagnato il suo spazio. Narra di Ingwer Feddersen, un professore universitario che si è messo in aspettativa per accudire mamma e papà, che, in realtà, sono i suoi nonni. Di Marret Fine-del-mondo, colei che lo ha messo al mondo, per anni creduta solo la sorella svitata, non si sa nulla da anni, il padre è ignoto. Cresciuto da Sönke Feddersen, il titolare della locanda di Brinkebüll, nella Germania settentrionale, e da sua moglie Ella, Ingwer ha inaspettatamente sviluppato le capacità e il desiderio di staccarsi dal villaggio in cui è nato per studiare al ginnasio e ritagliarsi poi una posizione accademica. La scelta di vita di Ingwer, così diverso dalla gran parte dei suoi coetanei e compaesani, ha lasciato un profondo senso di amarezza in Sönke, che non concepisce come ci si possa sottrarre al ciclo dell'eredità dei mestieri che domina Brinkebüll e la convivenza dell'ormai quarantottenne professore di Kiel con Ragnhild e Claus in un triangolo di relazioni ambigue e nebulose non depone a favore della capacità di risoluzione di Ingwer. Eppure lui decide di lasciare Kiel e tornare alla sua Brinkebüll proprio mentre si avvicinano le nozze di ferro dei nonni, più che mai bisognosi del suo aiuto. Ma la Brinkebüll che Ingwer ritrova è quella in cui Sönke non si riconosce più: tutto è cambiato dai tempi d'oro in cui la locanda era gremita di contadini che condividevano una bevuta a fine giornata, la bottega di Dora Koopmann non temeva la concorrenza dei supermercati e l'unico pericolo per i ragazzini che giocavano in strada era di inciampare in una buca. Perfino dei moniti apocalittici di Marret e dello scalpiccio dei suoi zoccoli si avverte la mancanza. A ricordare il passato di Brinkebüll rimane solo il dolmen strenuamente difeso dal pericolo di livellamento grazie alla tenacia dell'autorevole maestro Steensen: tutto il resto ha ceduto alla modernizzazione, all'automazione, al cemento e ai cantieri.
Fra le pagine di Tornare a casa si delinea una dialettica passato-presente che rappresenta al tempo stesso l'incidenza delle radici sull'evoluzione del carattere e della personalità. Ingwer è come sospinto fra la valutazione della sua vita di adulto e del modo in cui imprimerle un cambiamento e la memoria dei sacrifici di Ella e Sönke, ultimi testimoni di un mondo che hanno visto poco alla volta sparire e delle cui tracce ora lui si deve prendere cura: esperto di preistoria e di scavi, Ingwer si trova ad amministrare il singolare culto delle reliquie di una realtà rurale che il trascorrere del tempo ha rapidamente consumato. L'idea di Dörte Hansen è davvero buona e avrebbe potuto trasformare un angolo immaginario di un Land in una Holt tedesca, con le sue memorie e le sue singolari biografie, tuttavia la narrazione del passato di Brinkebüll, al di là della storia di Marret Feddersen e della sua famiglia, rimane abbozzata in una sequela di nomi che solo raramente si ritagliano una propria identità, perché travolti da una materia troppo abbondante e compressa in poche pagine. Se si delinea perfettamente la figura del maestro Steensen e della sua caparbia lotta in difesa delle tradizioni e contro la pedagogia moderna, altre figure altrettanto interessanti, come quella dell'incompresa Gönke Boysen, così vicina a Ingwer nel suo essere estranea rispetto alla gente di Brinkebüll, rimangono senza lo sviluppo che avrebbero meritato. Il racconto della Brinkebüll che cambia è decisamente più stimolante di quello di Ingwer che si interroga sulla convivenza e la carriera a Kiel o che accudisce gli anziani nonni, e un diverso bilanciamento delle due parti avrebbe forse dato al paesino e ai suoi abitanti il respiro di una grande narrazione.

Le sette morti di Evelyn Hardcastle
di Stuart Turton è invece un thriller di impianto fantastico, nel quale sembra delinearsi la tipica situazione di tanti gialli tradizionali, con un gran numero di personaggi invitati ad alloggiare in una tenuta un tempo lussuosa e ora rassegnata ad una decadenza da mascherare a tutti costi per partecipare ad una festa destinata a concludersi con la morte della giovane Evelyn, figlia dei proprietari di Blackheath House. Aiden Bishop, però assiste al fatto più di una volta, nel corpo di sette personaggi diversi, tutti ospiti della tenuta e una misteriosa figura mascherata come il medico della peste gli affida il compito di scoprire chi sia l'assassino di Evelyn: solo così potrà sottrarsi al ciclo che lo obbliga a rivivere continuamente la stessa giornata. Aiden deve avvalersi delle diverse prospettive sugli eventi e delle capacità peculiari di ogni suo ospite, indagare nel passato e nel presente della famiglia Hardcastle, dei partecipanti alla festa e della servitù, il tutto prima che l'inquietante lacché riesca ad uccidere tutte le sue incarnazioni e a scoprire dove si nasconda Anna, un'altra prigioniera del grottesco gioco che qualcuno impone senza svelarne lo scopo. Aiden e Anna sono intrappolati in un loop infernale, in un gioco di avvicinamento alla verità e di respingimento dalle spiegazioni, in una carambola che pare senza fine e in cui l'azione più pericolosa è quella della fiducia.
Anche questo romanzo poggia su un'idea molto interessante che, sebbene risulti difficile da tenere bene a mente ad ogni passaggio di identità del protagonista, risulta intrigante e coinvolgente. Il problema è che Stuart Turton ha complicato il disegno narrativo nel tentativo di dare una spiegazione alle ragioni dell'eterno ritorno di Aiden Bishop e di Anna, ingarbugliando i fili e volendo mescolare elementi di realtà con altri che con la realtà non si possono interfacciare, a meno di non accettare delle incoerenze. Le spiegazioni dell'inquietante fenomeno di Blackheath House, insomma, non fanno che complicare il quadro iniziale, perché ogni possibile soluzione sfuma in un nuovo dilemma che priva il percorso dell'indagine della soddisfazione di formulare ipotesi e comprendere le ragioni profonde dei gesti dei personaggi. Infelice anche la scelta della continua frammentazione del racconto, con una focalizzazione multipla negli ospiti della tenuta degli Hardacastle, tutti con nomi molto simili, che rendono ancor difficile anche trattenere e associare correttamente i flash narrativi che talvolta sono di brevissima durata e lasciano spazio nel giro di un paio di pagine alla voce successiva. Le grandi aspettative su questo romanzo sono rimaste insomma deluse.

Avete letto questi romanzi? Cosa ne pensate? 

C.M.

Commenti

  1. Entrambi potrebbero essere nelle mie corde. Del primo mi piacerebbe leggere di questo confronto fra l'ieri e l'oggi, tipico di chi lascia un luogo e cerca di costruire un'identità, consapevole che il passato comunque si riaffaccia sempre e si impone. Del secondo l'aspetto del mistero e del ritorno dello stesso personaggio. In particolare l'editore Fazi propone delle belle cose (ma acquisto pochissimi Fazi ancora, mi piacerebbe continuare a leggere Hardy).

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    1. Di Fazi ho appena terminato Quattro madri, non recente, ma rimasto non so perché su uno scaffale. Mi è piaciuto molto e ha confermato il generale apprezzamento per le scelte editoriali del marchio. Eppure con Tornare a casa non è scattata la scintilla.

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  2. Io lessi Le sette morti di Evelyn Hardcastle e ne conservo un bel ricordo. D'altro canto questa non è la prima volta che leggo (o sento) delle critiche simili alle tue. La svolta finale, per quanto un po' destabilizzante, non mi ha lasciato l'amaro in bocca.

    La tua osservazione sui nomi simili mi ha fatto tornare alla mente un altro libro: La casa sull'estuario di Daphne du Maurier. Splendido romanzo, in ogni caso, e mi sento di consigliarti di dare un'occhiata alla sinossi perché potrebbe pure intrigarti.

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    1. Sembra un romanzo interessante, molto contemporaneo, nonostante la sua età: potrebbe essere una sfida!

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