Un film di culto che ha lanciato Dustin Hoffman sull'Olimpo degli attori e che ha sconvolto non poco le coscienze dei borghesi americani benpensanti: è il 1967 quando la pellicola di Mike Nichols approda al cinema proponendo una storia di seduzione e rottura degli schemi.

Ammetto che il film non ha soddisfatto pienamente le mie aspettative: erano anni che volevo vederlo e mi aspettavo un capolavoro, invece l'ho trovato in certi aspetti troppo lento, in altri fin troppo precipitoso, con un effetto di prolungamento eccessivo dato dai lunghi vuoti di dialogo e movimento riempiti con le bellissime musiche di Simon & Garfunkel. Detto ciò, non intendo demolire gli altari eretti per Il laureato in tanti anni di storia: il film manifesta, più che una forza scenica, un'intensa carica ideologica, la volontà di definire l'immagine di una società che, nonostante il benessere, non offre soddisfazione e apre più strade alla frustrazione che alla realizzazione, perché non fa che imporre regole e schemi cui anche un giovane pieno di talento, se vuole sopravvivere, si deve conformare. Come ha giustamente sottolineato Giuseppe nel suo blog Ieri, oggi e domani, Il laureato costituisce il "ritratto di un'epoca", facendosi portavoce di un senso di disarmonia con il mondo che è ben esemplificato, oltre che dalle interminabili sequenze di primissimo piano su Dustin/Benjamin, dal senso della canzone The sound of silence che apre il film e ne accompagna come una didascalia numerose scene. Anche il bellissimo finale, che da solo vale tutto il film, è forse più complesso di quanto non sembri.
C.M.
C.M.
«Voglio dirti solo una parola, ragazzo. Solo una parola». «Sì, signore». «Mi ascolti?». «Sì, signore». «Plastica». Pausa. «Credo di non avere capito, signore».
RispondiEliminaFilm eccellente, a tratti lento - ma credo che sia dovuto piuttosto al fatto che è difficile decifrare oggi il film, che parla dell'epoca in cui è stato girato in maniera non didascalica.
Per inciso, forse preferisco Scarborough Fair...
Sicuramente la lentezza è dovuta a questo... mi vengono in mente certe pagine prolisse e ripetitive della letteratura di inizio secolo, che, a leggerle oggi, magari senza troppa consapevolezza del contesto in cui sono nate, non arrivano con la stessa incisività e sembrano inutili divagazioni, invece, nel loro contesto, hanno perfettamente senso.
EliminaSono in parte d'accordo con te, ma credo quell'alternarsi di lentezza e frenesia non sia casuale, anzi, credo sia funzionale in termini di comprensione. Bella la citazione di Peppe. Io amo il film, amo la sua colonna sonora, amo gli occhi persi di Benjamin... =)
RispondiEliminaCome scrivevo a Salomon Xeno, sicuramente questa scelta ha una sua funzione, che si coglie perfettamente nel suo contesto, ma soffre, agli occhi del pubblico come me meno esperto, della distanza, vedi l'esempio che facevo nel precedente commento sulla letteratura... anche per questo ho ritenuto una buona idea citare la lettura, molto pià accurata, competente e profonda, di Giuseppe! :)
EliminaIo amo invece le urla finali, ripetute e accompagnate dal ritmo più frenetico delle mani che battono contro la vetrata della chiesa. Hanno una potenza drammatica e liberatoria che non si dimentica...
RispondiEliminaSoprattutto le smorfie della signora Robinson in slow motion! XD
EliminaMi rispecchio nella tua recensione (mi danno per non essere ancora riuscito a partorirne una io!). In particolare il finale, oh quanto lo amo. Tutto il film lascia un po' interdetti fino a quel momento, in effetti l'happy end parrebbe davvero fuori luogo.
RispondiEliminaPoi ecco la musica; gli sguardi che divergono. Una rivolta che ha sconvolto vite e destini e poi eccola lì l'umanità: fin quando si tratta di distruggere è facile, ma costruire un nuovo mondo dalle ceneri non lo è mai. Quel finale è il simbolo di un'epoca, ma anche di una condizione perenne dell'uomo.
Bellissimo pensiero: quegli sguardi finali, in effetti, dicono molto più di quanto si possa pensare al primo impatto.
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