Non mancano poi passi dedicati ai motivi che hanno provocato il crollo dell'URSS e l'emergere dell'industria cinese in seguito alla nuova divisione internazionale del lavoro, un fenomeno che, replicato in molti paesi in cui la manodopera ha un basso costo, ha concretizzato in meno di dieci anni dalla pubblicazione del saggio la previsione secondo cui si sarebbero prodotto un immediato abbassamento dei salari anche nel Primo mondo (per resistere alla concorrenza) o un totale spostamento della produzione nelle aree economicamente più convenienti, o entrambi gli effetti, come è effettivamente accaduto. Non occorreva uno studioso del calibro di Hobsbawm per una simile affermazione, ma quel che importa è che l'avvertimento c'è stato e nulla è stato fatto per evitare le conseguenze di un sistema economico disastroso per gran parte della popolazione mondiale. Questa è cecità.
La parte più interessante de La frana è a mio avviso quella dedicata all'emergere delle nuove arti (prima fra tutte la tv, che ha cambiato il concetto di cultura e la sua fruizione), al dibattito sul progresso tecnologico e sui dubbi della comunità scientifica circa la libertà della ricerca e il controllo della stessa da parte dei governi, che da un lato ne assicura la continuazione, dall'altro la espone a strumentalizzazioni che aprono dilemmi etici insanabili. Alla diffusione di tanti dubbi contribuirono sia la diffusione di un senso di relativismo che partiva dalle nuove teorie di Einstein e Plank, sia l'esperienza della distruttività del progresso durante i due conflitti mondiali (con l'incubo di una nuova guerra nucleare durante la Guerra Fredda).
I sospetti e la paura verso la scienza sono stati alimentati da quattro sentimenti: che la scienza è incomprensibile; che le sue conseguenze pratiche e morali sono imprevedibili e forse catastrofiche; che essa sottolinea la debolezza dell'individuo e mina l'autorità. Né infine dobbiamo trascurare il sentimento che, nella misura in cui la scienza interferisce con l'ordine naturale delle cose, essa risulta intrinsecamente pericolosa. [...] (pp. 614-615)
In questione non è tanto la ricerca della verità, ma l'impossibilità di separarla dalle sue condizioni e dalle sue conseguenze. [...] L'umanità, almeno nella sua organizzazione presente, non è in grado di controllare i poteri in suo possesso, poteri talmente grandi che potrebbero cambiare la faccia della Terra, e neppure di riconoscere i rischi che sta correndo. (pp. 642-643)
Infine sono rimasta molto colpita dall'attenzione riservata ad un problema che colpisce in particolare il nostro paese (che più di una volta Hobsbawm cita come esempio): un'ostilità verso lo stato causata dalla sua stessa debolezza e da una tale corruzione che «i cittadini non si aspettano da esso alcuna utilità».
Sono, dunque, molte le contraddizioni che non ci siamo lasciati alle spalle con il vecchio secolo e il vecchio millennio, al punto che, in chiusura al suo saggio, Hobsbawm sottolinea la necessità di una rottura col passato:Sempre più i governi scavalcano, appena possibile, sia l'elettorato sia le assemblee parlamentari, o almeno cercano di metterli davanti al fatto compiuto, confidando di far passare le proprie decisioni sulla volubilità, le divisioni e l'inerzia dell'opinione pubblica. La politica diventa sempre più un esercizio evasivo. [...] Quasi certamente questa strategia evasiva continuerà a guadagnare terreno. [...]
Da un lato, la ricchezza, la privatizzazione della vita e dei divertimenti e l'egoismo consumistico rendono la politica meno importante e meno attraente. D'altro lato aumenta il numero di coloro che rinunciano a votare, calcolando che le elezioni servano a ben poco. [...]
Inoltre la tendenza sempre più sistematica dei governi a scavalcare i meccanismi elettorali e rappresentativi ha ingigantito la funzione politica della radio e della televisione. [...] Alla fine del secolo è diventato chiaro che i media sono una componente della vita politica più importante dei partiti e dei sistemi elettorali ed è probabile che rimangano tali. Comunque, mentre i mass media sono contrappesi molto potenti all'occultamento della verità da parte dei governi, essi non sono in alcun senso un mezzo di democrazia. (pp. 670-671).
C.M.Il mondo rischia sia l'esplosione che l'implosione. Il mondo deve cambiare. Non sappiamo dove stiamo andando. Sappiamo solo che la storia ci ha portato a questo punto e sappiamo anche perché. Comunque, una cosa è chiara. Se l'umanità deve avere un futuro nel quale riconoscersi, non potrà averlo prolungando il passato e il presente. Se cerchiamo di costruire il terzo millennio su questa base, falliremo. E il prezzo del fallimento, vale a dire l'alternativa a una società mutata, è il buio.
Ottima recensione, un libro che leggero' sicuramente.
RispondiEliminaLa storia andrebbe meditata gia' sui banchi di scuola, invece che essere considerata un elenco di eventi. Forse avremmo un numero maggiore di cittadini consapevoli.
Sarebbe certamente così, peccato che le materie che, come la storia, formano il pensiero e contribuiscono ad accrescere la consapevolezza siano considerate inutili zavorre...
EliminaUn testo importantissimo da quello che scrivi, su cui meditare e rimeditare ancora. Una visione sconfortante della società, della politica, del mondo stesso, ma purtroppo vera... Da mettere in lista d’attesa, sperando di trovare presto il tempo di dedicargli una bella (e lunga) lettura. Complimenti per la recensione, che senza dubbio è stata impegnativa.
RispondiEliminaIn realtà è stato un libro che, nonostante la tipologia e la mole, non è risultato pesante quanto mi aspettavo dalla sua fama... che sia per la passione per la materia, per la curiosità di apprendere informazioni nuove o per questo ritrovare tante riflessioni attuali e profetiche, Il secolo breve mi ha coinvolta tantissimo e la difficoltà della recensione è stata più che altro nella selezione dei testi e dei nuclei principali, il che, con i libri di un certo peso (non solo scientifico, ma anche fisico!) è abbastanza frequente. Grazie di aver apprezzato la mia sintesi e, per quando sarà, buona lettura! ;)
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