
Il romanzo descrive i mesi trascorsi al fronte da Paolo Baümer e dai suoi compagni Alberto Kropp, Tjaden, Müller e Katzinski, improvvisamente strappati ai banchi di scuola e ad un mondo di ciechi professori idealisti e mandati nelle Fiandre, lungo una delle linee più calde del primo conflitto mondiale. Per loro diventa immediatamente chiaro che la guerra non è la gloriosa impresa al servizio della nazione, ma una carneficina inutile, in cui persone comuni, deboli e povere uccidono altre persone comuni, deboli e povere.
Giorno dopo giorno i ragazzi vengono mandati all'assalto, tornano feriti, subiscono imboscate, guadagnano a fatica qualcosa da mangiare e dimenticano progressivamente loro stessi. Il grande disagio espresso da Paolo non è solo nell'onnipresente paura della morte, ma nella convinzione che, anche se tutti loro dovessero sopravvivere, non saranno più quelli di prima e troveranno un mondo completamente diverso da quello che avevano creduto di conoscere. Per questo l'autore antepone al primo capitolo un'epigrafe:Rifletti un po’che qui siamo quasi tutti povera gente. E anche in Francia la gran maggioranza sono operai, manovali, piccoli impiegati. Perché mai un fabbro o un calzolaio francese dovrebbe prendersi il gusto di aggredirci? Credi a me, sono soltanto i governi . Prima di venir qui, io non avevo mai visto un Francese, e per la maggior parte dei Francesi sarà andata allo stesso modo quanto a noi. Nessuno ha chiesto il loro parere, come non hanno chiesto il nostro.
Questo libro non vuol essere né un atto d'accusa né una confessione. Esso non è che il tentativo di raffigurare una generazione la quale - anche se sfuggì alle granate - venne distrutta dalla guerra.
Rileggendo queste pagine non mi tornavano alla mente solo i ricordi del precedente incontro con le figure di Paolo, Alberto e gli altri soldati, ma anche quelle, recentemente lette, di Un anno sull'Altipiano. Torno a citare Lussu non per essere ripetitiva, ma perché ritrovare nelle riflessioni di due autori che hanno vissuto gli stessi eventi combattendo in due schieramenti opposti pensieri comuni, espressi con la stessa intensità e lo stesso dolore, è significativo, spiazzante. Certo, non occorre un libro per farci capire che la guerra porta sofferenza a chiunque, indipendentemente dalla bandiera sotto la quale combatte, ma, a cent'anni di distanza, confrontando queste testimonianze, sembra di sentir echeggiare da un lato all'altro del campo di battaglia un comune grido di ribellione, dolore, infelicità e paura.
Entrambi appaiono disgustati dalla retorica dello Stato maggiore e dei governi, così lontana dalla morte e dalla miseria della trincea e delle bombe:
Non è il legame con questa Patria lontana, che, rappresentata dalle autorità prese dai loro cerimoniali (significativa è la rivista con la divisa buona di fronte all'imperatore), appare indifferente, quello che interessa al soldato, ma un attaccamento ad una terra ben più autentica, quella che può salvargli la vita o costituire la sua tomba:Mentre essi continuavano a scrivere e a parlare, noi vedevamo gli ospedali e i moribondi; mentre essi esaltavano la grandezza del servire lo Stato, noi sapevamo che il terrore della morte è più forte. Non per ciò diventammo ribelli, disertori, vigliacchi - espressioni tutte ch’essi maneggiavano con tanta facilità; - noi amavamo la patria quanto loro, e ad ogni attacco avanzavamo con coraggio; ma ormai sapevamo distinguere, avevamo ad un tratto imparato a guardare le cose in faccia. E vedevamo che del loro mondo non sopravviveva più nulla. Improvvisamente, spaventevolmente, ci sentimmo soli, e da soli dovevamo sbrigarcela.
I rari momenti di spensieratezza di cui godono i giovani protagonisti, che riescono a corteggiare delle ragazze francesi, conquistandole con i cibi serviti alla mensa o si impadroniscono della dispensa di un casolare abbandonato cucinando ghiottonerie sotto il fuoco nemico, non regalano sollievo, ma accentuano la malinconia, perché ci danno l'idea dell'enormità della gioia che segue la momentanea sospensione del conflitto. Nelle parole di Paolo si percepisce riga dopo riga tutta la sofferenza di un soldato che, per non essere schiacciato dal terrore e dal dolore, trova nell'oblio l'unico modo per sopportare una sorta cui non si può ribellare.A nessuno la terra è amica quanto al fante. Quando egli vi si aggrappa, lungamente, violentemente; quando col volto e con le membra in lei si affonda nell’angoscia mortale del fuoco, allora essa è il suo unico amico, gli è fratello, gli è madre; nel silenzio di lei egli soffoca il suo terrore e i suo gridi, nel suo rifugio protettore essa lo accoglie, poi lo lascia andare, perché viva e corra per altri dieci secondi, e poi lo abbraccia di nuovo, e spesso per sempre.
E la cosa certamente più triste di questo oblio è che gli affetti e le realtà più intime e familiari non bastano a colmare l'enorme vuoto lasciato dalla guerra, come quando Paolo, in licenza, torna a casa e ritrova i libri della sua giovinezza, che gli sembra così lontana da apparirgli quasi come l'esistenza di un altro ragazzo, non la sua:Questa forza dell’abitudine è anche quella che ci fa, in apparenza, dimenticare così presto. L’altro ieri eravamo ancora sotto il fuoco, oggi facciamo delle buffonate e gironzoliamo nei dintorni in cerca d’avventure, domani saremo nuovamente in trincea. In realtà non dimentichiamo nulla. Finché siamo in guerra, le giornate del fronte, a mano a mano che passano, precipitano, ad una ad una come pietre, nel fondo della nostra coscienza, troppo grevi perché pel momento ci si possa riflettere sopra. Se lo facessimo, esse ci ucciderebbero; infatti ho sempre osservato che l’orrore si può sopportare finché si cerca semplicemente di scansarlo: ma esso uccide, quando ci si ripensa.
Sono inquieto: ma non vorrei esserlo, perché non è giusto. Voglio invece risentire dentro di me quella silenziosa attrazione, quel fascino potente e misterioso che provavo sempre quando mi avvicinavo ai miei libri. Voglio che la ventata di desideri, che si levava dalle loro copertine, mi investa come allora, e sciolga questo pesante, plumbeo, morto peso che porto dentro di me, non so dove, per restituirmi l’impazienza dell’avvenire, l’alata gioia del mondo del pensiero... e mi ridoni il perduto slancio della mia giovinezza. […] Voglio sentire che il mio posto è qui; e ascoltare questa voce, perché tornando al fronte io possa dire a me stesso: la guerra si sommerge, sparisce sotto l’ondata del ritorno; la guerra passa, non ci consuma, non ha altra potenza che esteriore. […] Nulla, nulla. La mia inquietudine cresce. Un terribile senso di desta in me, quello di essere un estraneo qui dentro. Non so ritrovare il passato, sono escluso da questa vita. […] Sono un soldato, a questa cosa certa mi devo tenere.
Compagno, io non ti volevo uccidere. Se tu saltassi un’altra volta qua dentro, io non ti ucciderei, purché anche tu fossi ragionevole. Ma prima tu eri per me solo un’idea, una formula di concetti nel mio cervello, che determinava quella risoluzione. Io ho pugnalato codesta formula. Soltanto ora vedo che sei un uomo come me. Allora pensai alle tue bombe a mano, alla tua baionetta, alle tue armi; ora vedo la tua donna, il tuo volto e quanto ci somigliamo. Perdonami, compagno! Noi vediamo queste cose sempre troppo tardi. Perché non ci hanno mai detto che voi siete poveri cani al par di noi, che le vostre mamme sono in angoscia per voi, come per noi le nostre, e che abbiamo lo stesso terrore, e la stessa morte e lo stesso patire... perdonami, compagno, come potevi tu essere mio nemico? Se gettiamo via queste armi e queste uniformi, potresti essere mio fratello, come Kat, come Alberto. Prendi venti anni della mia vita, compagno, e alzati; prendine di più, perché io non so che cosa ne potrò mai fare.
Avevamo diciott’anni, e cominciavamo ad amare il mondo, l’esistenza: ci hanno costretti a spararle contro.
Ciao,
RispondiEliminatoccante post, complimenti. Le ultime due citazioni sono davvero struggenti. Mi hai fatto venire in mente alcune poesie di Ungaretti, quelle de "Allegria".
Ungaretti è l'altro grande nome che si affaccia in riflessioni come queste: la sua poesia, così scarna, non manca tuttavia di esprimere la stessa intensità, anzi, la concentra in sfoghi lapidari, anche se l'esito della sua riflessione è, contrariamente a quanto accade per i due romanzi citati, un'esaltazione della vita, che il poeta riesce a riscoprire nei momenti in cui il conflitto offre una tregua.
EliminaL'ho letto tipo in seconda media, hai risvegliato dei ricordi da tempo sopiti...
RispondiEliminaIn realtà non so se fosse adatto alla mia età di allora, sicuramente mi sarò persa qualcosa.
Leggendolo la prima volta mi sono accorta che alle medie ci avevano fatto leggere un brano tratto dal penultimo capitolo, senza dubbio il più toccante: era antologizzato nel manuale, ma credo che una lettura integrale a quell'età non sia del tutto azzeccata. Suggerisco di dare al libro una seconda opportunità!
EliminaQuando vado in libreria mi capita spesso tra le mani e dico : " Deve essere stupendo,ora lo compro. ", poi alla fine rinuncio.Il fatto è che non sono avvezza ai romanzi di guerra,preferisco più i drammi o le saghe familiari.Però questa tua recensione mi incoraggia,proverò!
RispondiEliminaCerto, questo è tutt'altro, ma è una lettura che vale la pena affrontare, mi ha lasciato davvero tanto. Nel caso lo leggessi, poi fammi sapere cosa ne pensi!
EliminaCiao! Hai scritto un articolo molto interessante e curato, complimenti! "Niente di nuovo sul fronte occidentale" è nella mia lista dei libri da leggere... lo voglio leggere non solo per evitare che la Grande Guerra venga dimenticata, ma glielo devo anche al mio bisnonno, che a 27 anni fu inviato al fronte, fortunatamente riuscì a tornare ma nonostante il riconoscimento di Cavaliere di Vittorio Veneto lui non fu più lo stesso...
RispondiEliminaClaudia - Il giro del mondo attraverso i libri
Immagino che questo particolare legame che hai vissuto grazie al tuo bisnonno renderà ancor più commovente la lettura, che senza dubbio è un sincero atto di omaggio a tutti coloro che hanno sofferto per quell'insulsa guerra. Grazie di aver apprezzato l'articolo e buona lettura!
EliminaCiao Cristina, ho deciso di nominare il tuo blog per il Liebester Award, fai un salto al link per i dettagli!
RispondiEliminahttp://artesplorando.blogspot.it/2014/11/artesplorando-partecipa-al-liebster.html
Grazie mille, Cristian!!
EliminaUn libro come questo dovrebbero leggerlo tutti i vari militaristi e tutti coloro che blaterano sulla bellezza della guerra.
RispondiEliminaVerissimo, se mai ci fosse bisogno di ribadire l'orrore della guerra, questo libro basterebbe da solo a far vergognare chi la esalta.
EliminaEccomi unita allo stormo con molto piacere, perchè questo libro mi emoziona soltanto a ricordarne il titolo..
RispondiEliminaImpossibile trascurarlo e non leggerlo..fa parte della vita di tutti!
Grazie e spero tanto in un tuo gradito ricambio!
Un bacio!
http://rockmusicspace.blogspot.it/
Ciao, Nella, e benvenuta! E' bello convidivere tante emozioni legate a questo libro, sebbene sa una lettura non certo spensierata e allegra: è il potere dei testi della grande letteratura!
EliminaNon saprei che altro aggiungere a quel che hai scritto, eccetto che è uno dei libri più tristi e belli che abbia mai letto.
RispondiEliminaIndubbiamente hai ragione, ha una bellezza struggente, perché mescola una grande evocazione narrativa con il terribile soggetto che viene presentato. Penso sia uno dei grandi libri che rappresentano il Novecento, sebbene non sia noto come altri titoli altrettanto meritevoli.
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