Da Beatrice a Francesca

É senza dubbio una delle donne più celebri della letteratura, e non solo di quella italiana: Beatrice è un punto di riferimento importante nella produzione dantesca, ma anche una pietra di paragone più o meno esplicita per molti personaggi della Commedia e delle opere di altri autori.

Marie Spartali Stillman, Beatrice (1895)
Anche se la documentazione non è abbastanza solida da permetterci di identificare con certezza questa donna, si suole associare il suo nome a quello dei Beatrice Portinari (1266-1290), figlia del mercante e banchiere Folco e moglie di un altro ricco affarista dell'epoca, Simone de'Bardi. Beatrix, in lingua latina, sigifica 'colei che produce beatitudine', dato che ci pone nel dubbio che, come per la Laura petrarchesca, anche per questa figura sia stato scelto un nome parlante che dia significato alla presenza dell'amore nell'opera di Dante e soprattutto nella Commedia.
Di Beatrice Dante parla diffusamente nella Vita Nuova (1293-1295), prosimetro (cioè testo che alterna prosa e versi, secondo l'insegnamento del De consolatione philosophiae di Boezio) che si apre proprio nel segno di un incontro fra il poeta e la donna, in chiesa, all'età di diciotto anni, nove anni dopo un primo incontro d'infanzia. Il sentimento d'amore è quindi immediatamente inquadrato in una dimensione religiosa che Petrarca, pur essendo troppo orgoglioso e invidioso per ammetterlo, non tarderà ad imitare nel suo mito di Laura: la visione della donna in chiesa, il turbamento causato dalla sua grazia indescrivibile, la simbologia numerica (il nove corrisponde al numero della Trinità moltiplicato per se stesso) sono tutti particolari che concorrono a comporre un inno ad una forma di passione rigorosamente ricondotta ad una manifestazione spirituale.
Inizia proprio in questo testo giovanile il culto di Beatrice, una sorta di santa in terra che diventa, nella letteratura stilnovista, l'esempio più lampante della cosiddetta 'donna-angelo', capace, con la sua bellezza pura, la sua eleganza, la sua umiltà e il suo sguardo benevolo, di infondere gioia nel cuore di chi la osserva, in un fugace contatto (ben descritto in Tanto gentile e tanto onesta pare) che trasmette dolcezza e reca in terra i segni stessi della presenza divina, mostrando un miracolo e mettendo gli uomini in contatto con Dio. Di fronte a Beatrice il cuore del poeta tende alla purificazione, come se l'amore fosse un faro che guida verso la retta via e che, quando si spegne, con la prematura morte della donna, getta Dante in un enorme sconforto; la nuova donna che appare a Dante nel lungo lutto non è un essere angelicato capace di riportare purezza e gentilezza (nel senso stilnovista di 'nobiltà d'animo), ma la portatrice di una passione che offusca il significato dell'essere angelico caduto.

Henry Holiday, Dante incontra Beatrice al ponte Santa Trinità (1883)

Con la morte, Beatrice rimarca il valore divino della propria essenza, sicché, dopo un lungo percorso che lo porta a superare il lutto e le passioni indegne, Dante, in chiusura alla Vita Nuova, preannuncia il nuovo ruolo divino che la donna ricoprirà nella Commedia, celebrandone lo splendore nel penultimo sonetto:
Oltre la spera che più larga gira
passa 'l sospiro ch'esce del mio core:
intelligenza nova, che l'Amore
piangendo mette in lui, pur su lo tira.

Quand'elli è giunto là dove disira,
vede una donna, che riceve onore,
e luce sì, che per lo suo splendore
lo peregrino spirito la mira.

Vedela tal, che quando 'l mi ridice,
io no lo intendo, sì parla sottile
al cor dolente, che lo fa parlare.

So io che parla di quella gentile,
però che spesso ricorda Beatrice,
sì ch'io 'ntendo ben, donne mie care.
In questa poesia vengono anticipati numerosi temi che saranno sviluppati nella Commedia: Beatrice sarà colei che accoglierà Dante in cima al Pugratorio e, in quanto figura della Fede, potrà accompagnarlo fino all'Empireo, a godere della visione di Dio. Beatrice costituirà, nel sistema del poema, il tramite per cui Dio consente la purificazione del peccatore, l'anello della 'catena di aiuto' che parte dalla Vergine e scende attraverso Santa Lucia, quindi Beatrice stessa e viene infine posta nelle mani di Virgilio, che, però, in quanto pagano e figura della Ragione (strumento inadeguato alla conoscenza del mistero divino), non può procedere oltre la collina dove le anime si liberano del peccato. 

John William Waterhouse, L'incontro di Dante con Beatrice (1915)

Questa trasfigurazione di Beatrice, da essere umano angelicato portatore di beatitudine a spirito beato nel vero senso della parola, è in qualche modo il processo che la salva dalla dimensione terrena in cui è invece pienamente collocata Francesca da Rimini, voce struggente e protagonista del canto V dell'Inferno. Questo passo della Commedia, infatti, è stato letto come un momento di riflessione metaletteraria da parte di Dante, che, attraverso la vicenda dei due sfortunati amanti che rimangono abbracciati nella tempesta che scaraventa i lussuriosi da un capo all'altro del secondo cerchio si interroga sul contenuto della lirica cortese da cui lo Stilnovo ha tratto la propria linfa.
Fin dalle sue origini, infatti, la poetica stilnovista aveva fatto leva sull'effetto benefico dell'amore, forza rigenerante che naturalmente alberga nei cuori gentili e fa da essi scaturire la parte migliore dell'animo: l'amore, da Gunizzelli al Dante degli anni '90, è una forza pura, positiva, che porta alle azioni migliori e fa sì che l'uomo sia spinto a guadagnarsi la grazia divina. 
Eppure per Francesca l'amore non è questo, ed ella non è per Paolo una fonte di salvezza: per entrambi l'amore è dannazione, traviamento e causa di morte (anche se ben più grave sarà il peccato di Gianciotto Malatesta, condannato a giacere nel Cocito di Caina, fra i traditori dei familiari). Ma, cosa più grave, la fonte da cui sgorga la passione peccaminosa è un libro che narra la nota storia di Lancillotto e Ginevra. Agli occhi di Dante, allora, appare il pericolo di una letteratura che esalta l'amore e il modello della relazione cortese, e nelle stesse parole di Francesca echeggiano i versi di Guinizzelli, a sua volta collocato fra i lussriosi del Purgatorio: «Amor, ch'al cor gentile ratto s'apprende» e «Amor, ch'a nullo amato amar perdona» (Inf. vv. 100 e 103) sono citazioni lievemente variate del manifesto dello Stilnovo firmato dall'autore bolognese:
Foco d’amore in gentil cor s’aprende
come vertute in petra prezïosa,
che da la stella valor no i discende
anti che ’l sol la faccia gentil cosa.
Mosè Bianchi, Paolo e Francesca (1877)

Amore e purezza d'animo sono inscindibili e producono una corresponsione, ma un'altra inevitabile relazione lega i cuori gentili, perché, secondo un altro topos stilnovista, nessuno che sia amato può evitare di amare a sua volta chi lo ama. E in questa corrispondenza giace non una promessa di grazie e splendore, ma la sanzione della condanna infernale, un terribile destino. E Dante, di fronte al pianto dei due amanti, prova una pietà che non si spiega con la semplice tristezza per la sorte dei due amanti, ma come il segno del senso di colpa e del rammarico di un intellettuale che ha per anni scritto poesie nel segno dell'amore.
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».

Mentre che l’uno spirto questo disse,
l’altro piangea; sì che di pietade
io venni men così com’io morisse.

E caddi come corpo morto cade.
Beatrice, dunque, diventa dea per allontanarsi dalla possibile deriva simboleggiata da Francesca (senza che però Dante condanni quest'ultima): la letteratura che la rendeva protagonista in quanto donna e in quanto fonte di amore e beltà terrena viene sostituita da un canto ben più sostenuto che la celebra in quanto segno impalpabile e quasi inesprimibile di una grazie spirituale e celeste.

Gaetano Previati, Paolo e Francesca (1901)
«Beatrice non ha potuto divenire popolare ed è rimasta materia inesausta di dispute e di arzigogoli. Francesca al contrario acquistò un’immensa popolarità... Non ha Francesca alcuna qualità volgare o malvagia, come odio, o rancore, o dispetto, e neppure alcuna speciale qualità buona: sembra che nel suo animo non possa farsi adito ad altro sentimento che l’amore. Amore, Amore, Amore!» (Francesco De Sanctis)
C.M.

Commenti

  1. Che dire? Bellissimo, ti ringrazio tantissimo per questo articolo.
    Buona serata.
    Antonella

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    1. Grazie a te, Antonella, per averlo letto e apprezzato! Ricambio l'augurio di una buona serata!

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  2. Purtroppo ho letto solo oggi l'articolo da Beatrice a Francesca.
    Bellissmo

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