Ma è poi vero che la Letteratura consola?

Non c'è bisogno di essere grandi filosofi per riconoscere il grande potere della Letteratura. Un divoratore di libri ma anche un semplice appassionato di lettura sanno che fra le pagine stampate c'è qualcosa di determinante, un fattore che rende il libro un oggetto non solo attraente ma anche fondamentale per colmare un bisogno esistenziale.
Talvolta si dice che la Letteratura ha un potere consolatorio, che offre conforto dagli affanni. Ma ne siamo così sicuri? Insomma, se noi consideriamo la consolazione, anche nel rispetto della sua etimologia, come un'azione solidale che allevia le sofferenze e distoglie dalle preoccupazioni, forse dovremmo ricrederci. Vero è che spesso, leggendo, si evade dalla realtà, ma le grandi storie, quelle che portiamo nel cuore per anni e che hanno fondato la potenza della letteratura sono storie tutt'altro che confortanti: possiamo provare piacere nel leggerle, rilassarci sfogliando le pagine mentre ne gustiamo le vicende, ma né Anna KareninaDon Chisciotte, né AntigoneMattia Pascal hanno la capacità di restituirci la serenità. Al contrario, la grande Letteratura è sempre perturbante, sconvolgente, amara... insomma, una raffica di colpi allo stomaco che, pure, ci infiammano il cuore di bellezza.

Immagine di Pasia1000 da Pixabay

Inutile illuderci: Leopardi non consola, Pavese non ci vuole rassicurare, Shakespeare vuol fare tutt'altro che distoglierci dal tormento che anima la vita interiore di ogni essere umano. La Letteratura non consola. O, se vogliamo, non lo fa nel modo in cui vorremmo essere consolati da un amico. Se ci aspettiamo di leggere Dostoevskij e di sorridere, Raskol'nikov ci farà ben presto cambiare idea, facendoci sentire assassini in cerca di una discolpa.
Il fatto è che la Letteratura non offre ciò che, per definizione, offre una consolazione. La Letteratura non offre risposte. Al contrario, la Letteratura pone valanghe di interrogativi, insinua dubbi profondi, annienta le certezze, rovescia qualsiasi appiglio positivo. Non a caso la prima percezione degli studenti di fronte alle opere proposte a scuola sfocia in un'accesa protesta verso orde di scrittori che, a loro parere, avrebbero dovuto suicidarsi, anziché ammorbare le future generazioni con le loro elucubrazioni.
Eppure continuiamo a ricercare la Letteratura, continuiamo ad attingere a questa inesauribile fonte di domande, ben sapendo che, probabilmente, non approderemo mai ad una risposta e che la maggior parte degli scrittori intende portarci a spasso per decine o centinaia di pagine per poi abbandonarci ad un bivio o ad una strada senza sbocco... lo vediamo nel trionfo del finale aperto a partire dal secolo scorso e dalle sconfitte dei protagonisti dei classici ancor prima. Perfino l'Odissea, considerato il poema dell'ingegno e della forza dell'essere umano, si chiude col presagio di qualcosa di inevitabile e che si sottrae a qualsiasi calcolo o astuzia, si tratti della guerra contro le nobili famiglie dei proci o della profezia di Tiresia che annuncia a Odisseo che morirà lontano dalla sua Itaca.
Sono i misteri, il non detto, la mancanza di un punto fermo a tenerci avvinti.
Non c'è consolazione nelle scomode verità che emergono dai libri: se pensiamo di leggere per chiudere una questione, per risolvere un problema, probabilmente finiamo per aprirne due, tre, quattro alla volta.
Di questo argomento ha in parte discusso Fabio Stassi al Festivaletteratura, presentando il suo ultimo romanzo, La lettrice scomparsa. Infatti Vince Corso, il protagonista e investigatore di questo giallo sui generis, è un biblioterapeuta: per sbancare il lunario che non si può reggere sulle entrate di un professore precario senza incarico, decide di volgere la sua passione per i libri ad una nobile missione, quella di suggerire letture medicamentose, in grado di mettere le sue pazienti nelle condizioni di affrontare un problema. Quasi tutte le sedute hanno una conclusione rovinosa proprio perché chi si rivolge a Vince cerca una soluzione, ma si vede proporre letture che impongono nuove domande, quando addirittura non spingono a dover ammettere, più che superare, il proprio disagio.
Ma il potere della Letteratura non sta nella consolazione, nel farci trovare delle conclusioni rasserenanti. La Letteratura consola in un modo diverso: facendoci prendere coscienza delle nostre difficoltà, dei nostri limiti, delle nostre risorse, del nostro specifico e inimitabile modo di guardare le cose. Obbligandoci a riflettere e a giocare a continui rompicapo, i libri ci fanno esercitare il senso critico e ci rendono al contempo consapevoli che quasi mai possiamo dare una definizione univoca della realtà, che esprimere giudizi è un'operazione complessa e il più delle volte fuorviante, che ogni persona o situazione ha più risvolti di quanti possiamo intuirne ad un primo sguardo.
Il potere della Letteratura e quello di essere per noi una lente che moltiplica e che rifugge da ogni singolarità. Il che, come ci hanno insegnato i grandi autori del secolo scorso, non è affatto consolatorio.

C.M.

Commenti

  1. Javier Cercas scriveva che: «(...) la risposta è che non c’è risposta, cioè, la risposta è la ricerca stessa di una risposta, la domanda stessa, il libro stesso».

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    1. Mi sembra un'ottima prospettiva, l'eterna queste di cavalleresca memoria!

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  2. Bello il tuo blog, sono capitata per caso cercando altro ma ripasserò spesso. Ciao Nina

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    1. Grazie, Nina, e benvenuta, sono lieta che ti unisca a noi!

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  3. Ciao! Ho passato gli ultimi anni di liceo ad ascoltare le mie prof di Lettere che esaltavano il potere della "letteratura come vita". Forse in questo senso l'attività letteraria consola: è proprio come la nostra esistenza, cioè tortuosa, difficile, ricca di domande senza risposta. Poi è ovvio che non sempre siamo consolati: vorremmo un lieto fine per Anna Karenina, vorremmo che Ulisse restasse ad Itaca, vorremmo non trovare tanta disperazione in quello che scrive Pavese. Ma questi nostri pensieri sono comunque formativi e secondo me necessari... Per me sono stati importantissimi, a 17 come ora a 27 anni.
    Scusa il papiro e complimenti per il blog. Nuova iscritta!

    Se vuoi passare dal mio, mi fa piacere!

    lanostrapassionenonmuore.blogspot.it

    A presto :-)

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    1. Benvenuta, Silvia! Sì, insomma, non è un conforto nel vero senso della parola: il potere della letteratura di farsi vita è proprio quello di metterci di fronte a situazioni che, come ogni esperienza formativa che si rispetti, comportano dei grossi sacrifici, dei compromessi, l'accettazione dell'inspiegabile...
      Alla prossima, verrò certamente a trovarti anch'io! :)

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  4. Ho sempre rifiutato l'idea della letteratura consolatoria. O meglio sono sempre stata convinta che solo un determinato tipo di letteratura, che volutamente prendiamo in mano per rispecchiarci dentro di essa, possa consolare.
    In quanto generatrice di mille universi possibili la letteratura tuttalpiù stranisce, distorce, amplifica, come dicevi tu, genera interrogativi (che non sono mai, affatto consolatori). E non è nemmeno da considerarsi una conquista recente la cosa: molti la additano ad una precisa forma mentis moderna e postmoderna, ma non è così a ben vedere: da Dante a Shakespeare a Cervantes, fino poi a Leopardi, Manzoni, Pirandello, Primo Levi, e chi più ne ha più ne metta: le realtà che essi aprono sono raggelanti e meravigliose. Prenderne atto e avere la capacità di usarle per interrogare innanzitutto noi stessi, forse, è il maggiore atto di consolazione possibile.
    Splendido post, come sempre i miei complimenti Cristina :)

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    1. Grazie di aver apprezzato e grazie del tuo articolato e complesso commento, che ha aggiunto un tassello importante a questa riflessione, in particolare nella conclusione: la letteratura ci insegna a interrogare la realtà che ci circonda e soprattutto noi stessi, ci chiede di costruire relazioni e significati, ma anche di essere pronti a stravolgerli. Un'educazione sentimentale alla complessità, oserei dire!

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  5. Splendido post e ti segnalo che sei stata "nominata" tra i blog scoperti quest'anno da Nocturnia ;-)
    http://wwwwelcometonocturnia.blogspot.it/2016/11/quali-sono-i-vostri-blog-preferiti.html?m=1

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    1. Grazie di avermi avvisata: ultimamente bazzico poco nei blog, mi sfugge sempre qualcosa! Corro a leggere appena posso! :)

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  6. Ciao, bellissimo articolo e molto stimolante. Per entrare subito nel vivo, credo che la letteratura possa essere consolante in due modi: facendoci evadere dalla realtà, come hai giustamente detto tu, e nel mostrarci che le angosce e i dubbi che ci plasmano sono condivisi da altri, dunque facendoci sentire soli. Talvolta è nella letteratura che troviamo una precisa definizione di un malessere che ci accompagna da sempre, portandoci così alla consapevolezza (a me è recentemente successo con Madame Bovary). Certe volte, leggendo, mi capita di essere pervasa letteralmente dalla forza di ciò che leggo e di ritrovare me stessa in determinate pagine e determinati pensieri, come se fossero state scritte le une e formulati gli altri solo per me, come se quel libro mi stesse aspettando, per mostrarmi ciò che sono in maniera infinitamente più completa e profonda di quanto potrei fare io con le mie sole forze. Questo, credo, è il potere consolatorio della letteratura.

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    1. Esatto, è una consolazione non consolatoria nel senso tradizionale: a volte ci sentiamo confortati da una consonanza, dall'imbatterci in parole che sembrano fatte per noi, anche se non necessariamente positive.

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  7. Sono propensa a pensare che questo potere consolatorio esista e sia invece evidente. Non ha a che vedere con il soggetto narrato nei vari intrecci che ci hanno travolto facendoci amare ogni riga, che di fatto come tu scrivi è spesso tragico, ma proprio con il potere della scrittura, il suo senso del sublime. Di fatto ogni narrazione ha in sé, latente, questa prerogativa. Innegabile la sensazione del rifugio consolatorio, che si nasconde fra le pieghe di uno stile, il convergere di parole in una sintassi perfetta, spesso molto ben tradotta dall'originale.

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    1. Insomma, una sorta di consolazione nel Bello, di tipo estetico? Mi sembra una prospettiva interessante alla quale allargare la riflessione...

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    2. Esattamente. E quando il sublime della Bellezza di intreccia con una tragedia narrata, allora lo scopo della narrazione, in questo ossimoro dialettico, è perfettamente raggiunto.

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    3. E il risultato è un'estasi mistica!

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