Almarina - Valeria Parrella

Quando si pensa ad un carcere, è più facile associare il luogo a concetti come espiazione, punizione, pena; talvolta fa capolino la parola 'giustizia', ma è quasi inevitabile pensare ad una prigione come ad un luogo in cui qualcosa ha una fine. Più difficile è associarlo ad un inizio, anche per coloro che vi entrano per crimini minori, eppure lo scopo della detenzione, almeno per alcuni tipi di reato, è quello di aiutare chi ha commesso degli errori a ricostruirsi e a trovare una nuova strada. Talvolta questo accade, più frequentemente l'esperienza carceraria è destinata a ripetersi o ad essere il tetro sfondo di un'esistenza di impossibile reinserimento. La questione si fa particolarmente dolorosa se si parla di detenuti minorenni, che a volte finiscono dietro alle sbarre senza aver potuto scegliere una strada che conducesse lontano da esse, perché segnati da storie sociali e familiari di estremo degrado.
I ricordi restano sempre dove li abbiamo lasciati: noi ci alziamo, andiamo, richiamati a tavola dalle madri, e i ricordi restano sugli scalini.
Almarina non aveva ricordi così ed era stata vestita di carta, ma possedeva la luce del futuro negli occhi: e il futuro comincia adesso.
In questa realtà ci introduce Valeria Parrella con il romanzo Almarina (Einaudi), che, nella sua brevità, racconta la sfida di Elisaetta Maiorano, un'insegnante di matematica cinquantenne che lavora nel carcere minorile di Nisida. Ogni mattina Elisabetta si lascia alle spalle Napoli e percorre il ponte che conduce all'isola flegrea, senza poter evitare di chiedersi, ad ogni lezione, cosa ne sarà dei suoi alunni, che cambiano anche da un giorno all'altro, guadagnandosi la libertà senza che si possa garantire che essa sia per sempre. La professoressa si porta dentro un lutto, infatti ha da poco perso il marito e la sua esistenza, al di là dell'insegnamento che catalizza le sue energie, si trascina stanca, giorno dopo giorno, senza che si affacci il segno di una svolta. Almeno fino a quando, a Nisida, incontra Almarina, una giovane detenuta romena con un passato di violenze familiari che l'hanno segnata anche fisicamente. Almarina si ritaglia un posto speciale nel cuore di Elisabetta, che, in questa ragazza sferzata ma non prostrata ritrova una direzione e una vocazione: l'insegnante si reinventa, si riscopre donna, dissotterra la propria motivazione e intraprende un cammino che alcuni appoggiano, altri, come il direttore del carcere, ritengono l'effetto di un trasporto eccessivo e un capriccio sentimentale destinato a rimanere frustrato. Ma Elisabetta Maiorano intende ricominciare a vivere e offrire una nuova vita anche ad Almarina.
Ho letto questo romanzo in vacanza, mentre al mare di Napoli faceva da sfondo il mare greco, ma a volte i rumori della spiaggia mi distraevano e dovevo ritornare sui miei passi, andando indietro di qualche pagina. Il romanzo di Valeria Parrella, infatti, pur essendo breve e molto semplice nella limpidezza della sua scrittura, affronta una riflessione importante, ci offre storie che pretendono attenzione, ci invita a balzare da un piano temporale all'altro, nella consapevolezza che nessuna scelta presente o futura può staccarsi dal vissuto, dal passato, dai ricordi. L'autrice ci guida nelle giornate di Elisabetta e, più marginalmente, di Almarina, lasciando intendere quanto un piccolo gesto, un luogo, una parola possano smuovere sentimenti, memorie e dolori ed essere, contemporaneamente, sorgente di sofferenza o innesco di una reazione. La storia di un amore perduto diventa, fra le pagine di Almarina, la storia di un amore trovato: una storia intensa, lacerante, forte e indimenticabile.
Voi che giudicate siete disposti a credere ai colpi di fulmine, ma altre forme d’amore improvviso vi mettono in sospetto. Le amicizie sembrano maliziose, l’amore per i discepoli riverbera di paternalismo e l’ammirazione profonda per gli anziani pare sia coperta da chissà quale mancanza nascosta del passato. Volete che l’amore proceda per gradi, vorreste intravederne un percorso lineare, guardare, morbosi, tutto. Invece no, non si guarda: il cuore è opalino e gli esami di coscienza sono per gli infelici.
Io mi sono legata ad Almarina così, mentre guardavamo il mare.
C.M.

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