L'idioma di Casilda Moreira - Adrián N. Bravi

In quanto studentessa di Lettere classiche e insegnante di latino, mi sono trovata e mi trovo spesso ad affrontare la questione delle lingue morte e ogni volta mi torna in mente la prima lezione del corso di Storia della lingua latina, seguito durante il secondo anno di università. In quell'occasione il docente, che ancora ricordo come uno dei migliori in cui mi sia imbattuta nel mio percorso di istruzione, ci fornì una lunga serie di motivi per cui il latino (ma lo stesso di potrebbe dire del greco) non è affatto da considerare una lingua morta, dal momento che esistono molte persone che lo parlano, sebbene non quotidianamente, è la lingua ufficiale di uno Stato, quello del Vaticano, ed è ancora vitale in tantissime parole di lingue neolatine e non o in linguaggi modernissimi, come quello dell'informatica. Non che servisse un docente universitario per cogliere queste evidenze, tuttavia era la prima volta in cui mi trovavo di fronte ad un'argomentazione tanto affascinante e ogni volta che presento ai miei alunni questa meravigliosa lingua rispolvero questi ricordi.

Ecco perché quando ho letto la trama de L'idioma di Casilda Moreira di Adrián N. Bravi (Edizioni Exòrma) sono rimasta particolarmente colpita e l'incontro con l'autore al Festivaletteratura mi ha resa ancor più curiosa. Anche questo romanzo, infatti, racconta di lingue che rischiano di morire, della volontà di salvarle dal rischio che siano considerate superflue e, quindi, abbandonate, ma anche dell'inevitabilità del legame fra comunicazione e rapporti umani e di come, venendo meno questi ultimi, anche la prima sia destinata a crollare o a sopravvivere solo in forme diverse. E anche qui c'è un professore universitario, Giuseppe Montefiori, che ai suoi studenti di etnolinguistica racconta di una lingua che si credeva scomparsa, ma che ancora è conosciuta da due persone disperse nella pampa argentina, Bartolo e Casilda... due persone che, però, non si rivolgono la parola e mettono quindi a rischio l'esistenza dell'antico idioma degli indios günün a künä. Affascinato da questo racconto, Annibale Passamonti, uno degli studenti di Passamonti, che nel frattempo è rimasto vittima di un singolare incidente di balneazione, decide di recarsi nel villaggio di Kahualkan per riportare al docente una testimonianza della lingua di Bartolo e Casilda: riuscirà a fare in modo che il rancore dei due ceda il posto al desiderio di salvare l'ultima testimonianza di un idioma condannato a scomparire?
Alle spalle della storia di Casilda, Bartolo, del professor Montefiori e di Annibale c'è l'eco di quella storicamente documentata di Tuone Udaina, l'ultimo parlante dell'antica lingua dalmatica, estintasi con la sua morte nel 1898, e del linguista Matteo Bartoli, che al dalmatico e alle sue varianti dedicò ampia parte dei suoi studi. Al contempo, Adrian Bravi scava nella storia degli indios, costellata di tanti idiomi diversi e poco conosciuti, conferendo alla narrazione un colore argentino che è anche un omaggio alla sua terra d'origine.
Il risultato di questa indagine culturale è un romanzo delicato, commovente, intenso, che procede sul leitmotiv del legame fra rapporti umani, emozioni e atto linguistico. Basta pensare alla lingua degli affetti, normalmente diversa dal registro standard e formale, che spesso non sopravvive alla soglia di casa, tanto è circoscritto il gruppo di coloro che condividono i sentimenti legati a determinate parole. C'è quindi una stretta relazione fra ciò che si vuole comunicare, gli eventi che hanno scandito l'utilizzo di una lingua e le parole di quella stessa lingua, che, privata del suo contesto, può suonare ridicola, insignificante, quasi sacrilega.
Il modo in cui L'idioma di Casilda Moreira sviluppa questa dialettica è eccezionale, incisivo e si alimenta anche di tante informazioni sulla cultura sudamericana e sui rapporti fra i discendenti degli indios e quelli dei coloni. Meraviglioso è il passo in cui Bartolo testimonia la convinzione del popolo günün a künä, secondo la quale esiste un luogo in cui i nomi sgorgano dalla pietra, ciascuno già perfetto per ciò che deve designare; straordinaria la conseguente credenza di cui si fa portavoce Casilda, per cui i nomi, in quanto significanti univoci, hanno anche un destino di morte, perché non possono sopravvivere al loro significato.
Emerge dunque da queste pagine una concezione della lingua ma anche dell'esistenza che si sottrae all'eterno scorrere delle cose, che rende qualsiasi esistenza (di persone, animali, concetti, sentimenti) unica e irripetibile e che concepisce come singolare anche l'atto comunicativo, ad essa indissolubilmente legato nel bene e nel male. L'amore di Casilda e Bartolo si è espresso nella lingua dei günün a künä e, cessato questo sentimento, tradite le loro promesse, tale lingua non può più esistere fra di loro, a costo che negarla nel loro rapporto significhi condannarla a scomparire.
Adrian Bravi ha dunque saputo sviluppare una riflessione non solo etnolinguistica ma anche filosofica sul valore della comunicazione e sul contesto in cui essa può o non può avvenire, conferendo alla sua ricostruzione le sfumature di un bel romanzo.
E, in fondo, ha chiuso il cerchio della mia riflessione di latinista, perché è proprio il sussistere di tanti concetti, di tanti valori, di tanti elementi culturali, istituzionali, tecnici che ha mantenuto in vita la lingua latina: essa ha trovato il modo di sopravvivere nelle relazioni ereditate da noi moderni, talvolta modificandosi con esse e, nelle forme più estreme di trasformazione, partorendo nuove lingue. Leggendo L'idioma di Casilda Moreira si compie davvero un viaggio nelle dinamiche relazionali sottese alle lingue, affinando nella piacevolezza di un racconto di fantasia la sensibilità stessa sul significato del comunicare.

Adrián N. Bravi al Festivaletteratura 2019
Casilda gli spiegò che quella era stata la lingua dell’innamoramento tra lei e il suo yalalaw e che una volta morto l’innamoramento doveva morire anche la lingua. Annibale provò a dirle che le lingue, compresa quella della nonna Yakak, possono esprimere qualsiasi sentimento, prima e dopo la morte del sentimento stesso, perché è l’unica cosa che abbiamo e che ci possiede. Casilda replicò che loro, lei e Bartolo, avevano guardato l’orizzonte mano nella mano in quella lingua, avevano nominato insieme le stelle e gli uccelli.
C.M.

Commenti

  1. Anche a me è piaciuto molto.
    Leggendo la tua recensione mi sono proprio accorta che ognuno di noi negli stessi libri legge qualcosa di sé: a me mai sarebbe venuto in mente il paragone con il latino...

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    1. È il bello della letteratura: è in grado di parlare ad ogni lettore con voci diverse... Anche un romanzo così breve può lanciare tanto messaggi.

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