Canne al vento - Grazia Deledda

Grazia Deledda, l'unica nostra autrice insignita del premio Nobel per la letteratura (1926), si distingue tristemente per la sorte a lei riservata nel percorso scolastico di storia della letteratura e, forse in conseguenza di questo, nella cultura nazionale. Prima di scrivere questo post ho controllato il manuale che usavo al liceo e quello che ho in adozione attualmente nelle mie classi: quello la ignora completamente, questo la liquida in un paio di pagine e con un brano antologico privo di un'adeguata contestualizzazione. Del resto, nelle Indicazioni Nazionali per i nuovi licei, Deledda non compare nemmeno (l'unica scrittrice citata è Elsa Morante).
Quest'anno ho deciso di provare a dedicarle almeno una lezione in classe 5^, sebbene sia consapevole che sarà difficile ricavare uno spazio dignitoso, anche in considerazione della mia scarsa familiarità con l'autrice. Pertanto ho deciso di concentrarmi su un libro già letto, che, per l'occasione, ho ripreso, con la consueta disposizione a rivalutare ciò che, affrontato in passato senza alcuna consapevolezza, non avevo apprezzato a sufficienza.
 
Giuseppe Biasi, Processione

Canne al vento (1913) è considerato uno dei capolavori di Grazia Deledda, per questo avevo deciso, anni fa, di cominciare con questo titolo. Mi ero fatta l'idea, supportata del resto dalla tendenza a rubricare Deledda fra Verga, Fogazzaro e il primo D'Annunzio, che la sua narrativa fosse inquadrabile nell'esperienza del Verismo, ma è forse più giusto (mi impegno a confermare l'impressione con ulteriori letture) leggerla come una sorta di ponte fra quella verista, che comunque l'ambientazione e il folklore sardi rendono del tutto particolare, e la narrativa psicologica.
In un paesino del Nuorese vivono, orgogliosamente arroccate nella loro nobiltà decaduta, le sorelle Pintor, Ruth, Esther e Noemi; recluse fra le mura domestiche e relegate al loro ruolo di custodi della casa secondo i dettami di una rigida tradizione patriarcale, hanno consumato la loro giovinezza fra le mura scrostate, vivendo dei frutti di un podere che sempre più a fatica riesce e sostentarle. L'unica delle sorelle che si è ribellata alla volontà paterna, Lia, è morta dopo essere fuggita di casa e aver messo al mondo un figlio, Giacinto; il padre, don Zame, è stato ucciso mentre tentava di impedire l'abbandono del nido da parte della giovane. A curarsi, quasi angelo custode, delle tre sorelle, c'è il fedele Efix, il servo che si occupa di tutto nel podere e che è talmente votato al suo compito da non pretendere nemmeno la paga che di mese in mese viene differita dalle sorelle, ormai ridotte alla povertà. Don Predu, cugino delle tre donne, sarebbe disposto ad acquistare il podere e a lasciar vivere le Pintor nella loro casa d'infanzia; nutre anche il desiderio di sposare la più giovane, Noemi, che, però, rimane trincerata dietro la convinzione di essere, con i suoi trentacinque anni, troppo vecchia per il matrimonio e che Predu intenda soltanto approfittare della loro miseria e umiliarle agli occhi di tutta la comunità paesana. Quando al podere si presenta Giacinto, che fa mostra di essere pieno di risorse e di avere del denaro da spendere, sulle sorelle Pintor piomba l'assillo dei debiti ed Efix, che ha riposto tante speranze nel giovane erede, si sente colpevole anche della morte, per crepacuore, di Ruth. Inizia così il suo percorso di espiazione, nel corso del quale Efix, che pure non va oltre Nuoro nelle sue peregrinazioni, è accostato ad un errante di tradizione biblica condannato a vagare per il mondo, assistendo ad atti di sopraffazione e di pietà mentre fa i conti con i propri errori e con un crimine inconfessabile.

Del Verismo ci sono in Canne al vento l'ambientazione rurale e paesana, l'affresco di una comunità legata ai ritmi del duro lavoro, alle feste popolari, alle credenze negli spiriti delle campagne, a un gioco di ruolo nel quale non possono mancare l'usuraia, il sindaco benestante, il parroco, la giovane innamorata, i frequentatori delle bettole e dei tavoli da gioco. In questo scenario ritroviamo le dinamiche verghiane della fatica, dei sacrifici spazzati via da un rivolgimento della sorte, della violenza, del dramma sociale generato dalle trasformazioni dell'Italia all'indomani dell'Unità. C'è anche qualcosa dell'ideale dell'ostrica in Lia che non riesce a liberarsi davvero e che muore in continente, ma c'è anche la sua rivisitazione, con l'attaccamento alla tradizione familiare che diventa non ancora di salvezza ma un atteggiamento autodistruttivo, per l'incapacità di aprirsi all'unica mano tesa in soccorso. Eppure emerge anche una forte componente psicologica, che proietta le paure e la durezza di Noemi e il tormento di Efix in una dimensione contemporanea,  ultra-verista sebbene i loro conflitti interiori siano ancora legati alla necessità di misurarsi con una tradizione arcaica (per Noemi) e con il sentimento del peccato (per Efix).
Questa complessità rende Canne al vento e la sua autrice degni di maggiore considerazione nel disegno della letteratura italiana, come intuì il comitato che le conferì il Nobel «per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano».
Tutto era mutato; il mondo si allargava come la valle dopo l'uragano quando la nebbia sale su e scompare: il castello sul cielo azzurro, le rovine su cui l'erba tremava piena di perle, la pianura laggiù con le macchie rugginose dei giuncheti, tutto aveva una dolcezza di ricordi infantili, di cose perdute da lungo tempo, da lungo tempo piante e desiderate e poi dimenticate e poi finalmente ritrovate quando non si ricordano e non si rimpiangono più.
Tutto è dolce, buono, caro: ecco i rovi della Basilica, circondati dai fili dei ragni verdi e violetti di rugiada, ecco la muraglia grigia, il portone corroso, l'antico cimiero coi fori bianchi delle ossa in mezzo all'avena e alle ortiche, ecco il viottolo e la siepe con le farfalline lilla e le coccinelle rosse che sembrano fiorellini e bacche: tutto è fresco, innocente e bello come quando siamo bambini e siamo scappati di casa a correre per il mondo meraviglioso.
C.M.

Commenti

  1. Le scrittrici dimenticate sono tante! In effetti nella sezione dedicata alla letteratura del Novecento troviamo il nome di poche scrittrici mentre a predominare sono le figure maschili. Se mi permetti vorrei ricordarne alcune: Sibilla Aleramo, Elsa Morante, Matilde Serao. Il cono d'ombra dell'oblio le ha celate al mondo. Pochi le ricordano, ma conoscerle sarebbe importante per i giovani per avere spunti di riflessione e di dibattito. Mi piacerebbe leggere altre tue recensioni dei romanzi scritti da queste autrici. E' importante parlarne per riscoprire i personaggi, le storie e le tematiche delle scrittrici italiane. Un cordiale saluto :)

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    1. Di Elsa Morante ho letto e recensito La Storia e L'isola di Arturo (puoi trovare facilmente i post con lo strumento di ricerca), mentre di Serao e Aleramo non ho ancora letto nulla, ma ne approfitto per chiederti dei suggerimenti.
      Ciò che mi porta a rammaricarmi in particolare per Deledda è che il Nobel sembra non essere bastato a riscattarla dal quasi totale anonimato. Ho però letto che la casa editrice Utopia sta dedicando all'autrice un progetto e spero che usato contribuisca alla sua notorietà.
      Saluti a te e grazie di essere passata!

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    2. Di Matilde Serao ho letto "L'infedele" e "La mano tagliata", un romanzo di amore e di morte. Di Sibilla Aleramo ho letto "Una donna", autobiografia che contiene la denuncia della condizione femminile in una società patriarcale. Sicuramente queste scrittrici dimenticate meriterebbero molto di più. Molto interessante l'iniziativa dell'università Sapienza: in occasione della Giornata internazionale dei diritti della donna, si è tenuto l'incontro dal titolo "Grazia Deledda, un Nobel dimenticato". Alla Deledda non si perdona di essere una donna intenzionata a cancellare gli stereotipi che ancor oggi feriscono la nostra società. In secondo luogo le opere della scrittrice non rientrano nelle correnti letterarie dell'epoca. lei non è un'esponente del Verismo e neanche del Decadentismo. Quindi meglio cancellarla dalla storia della letteratura.

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    3. Le etichette sono sempre un male: più leggo in autonomia, più mi rendo conto di quanto siano assurde. E, con esse, tanta critica letteraria altisonante che, però, non dice niente di concreto. Lo dico con rammarico, perché sui manuali che uso quotidianamente continuo a trovarne e devo conviverci, spero solo che i miei studenti, prima o poi, abbiamo il desiderio di prendere gli autori e le autrici e scoprirli direttamente, creando dei canoni personali, alternativi a quelli, ingiusti, che distinguono arbitrariamente fra autori di serie A e serie B.

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  2. Lo aveva letto la mia mamma e ricordo che me ne parlava con gli occhi lucidi, come fosse (e probabilmente lo era) una delle cose più grandiose che gli fossero passate tra le mani. Non lo ho mai creduto fino in fondo, e mi dispiace, ma lei era una lettrice onnivora che leggeva per la maggior parte cose che rimediava in giro, in una specie di book crossing ante-litteram che aveva messo in piedi con le sue amiche sin da ragazza (il che significa tonnellate di fuffa romantica tipo Liala). Evidentemente in mezzo a tanta fuffa qualcosa di buono c'era....

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    1. Forse proprio chi non ha pregiudizi nella selezione dei libri riesce a incontrare, magari per caso, quegli autori che ingiustamente sono relegati quasi all'anonimato dall'opinione comune o dai critici letterari. Se ci basiamo sulle selezioni antologiche e sui "canoni", ignoreremmo del tutto le nostre autrici...

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  3. Come dici anche tu la Deledda è abbastanza snobbata nei programmi scolastici (forse perché essendo donna viene automaticamente messa nella serie b dei grandi scrittori italiani?). Io per esempio non ricordo di averla studiata alle superiori.

    Recente ho letto un suo racconto, "Tesori Nascosti", pubblicata da CartaCanta editore. Devo ammettere che per quanto il tema fosse interessante non ha scatenato le mie simpatie. Magari proverò con altro.

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    1. Deledda non si studia, lo confermo. Va detto che il Nobel non fa guadagnare nemmeno a Carducci un posto nei programmi, ma comunque i manuali gli dedicano pagine in abbondanza. Deledda, come del resto Morante o Ginzburg, sì e non che venga nominata. Questo romanzo non mi ha conquistata, ma non è peggiore di tanta narrativa contemporanea e viene da chiedersi davvero cosa, oltre al sesso dell'autrice, la ponga in secondo piano. Io non ci vedo altre ragioni e spero tanto che il tempo faccia decadere questo assurdo pregiudizio che relega a margine della storia letteraria le donne.

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  4. Hai citato un passo davvero bello. Dopo una certa età questi momenti capitano sempre più di rado, e sono preziosi. È da tempo che tento qualche racconto della D. ma non mi prendono. Arriverà il momento giusto.

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    1. E, se non arriverà, l'importante è averci provato senza preconcetti. Un autore o un autrice può anche non piacere, anche se ha vinto il Nobel. ;)

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  5. Dopo l'esperienza di lettura di Cenere, proprio di questa estate passata, Canne al vento è un libro che voglio recuperare. Sì, una scrittura di grande forza, un verismo puro, a tratti anche "gotico", come ricordo anche in alcuni passaggi di Cenere. Meraviglie della nostra letteratura.

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    1. Ho Cenere in lista per il mio auto-regalo natalizio e ho alte aspettative da quando ho riletto questo romanzo e dalla lettura della tua recensione. Nelle scorse settimane ho avuto modo di proporre ai miei studenti di quinta un paio di racconti di Grazia Deledda e mi è parso che siano stati ben accolti, anzi, sono certa che siano stati preferiti alle pagine di Verga.

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