L'oratorio di Natale - Göran Tunström

Il primo post del nuovo anno è dedicato all'ultima lettura del vecchio. Non sono riuscita infatti a scrivere de L'oratorio di Natale dello svedese Göran Tunström (Iperborea) appena finito il libro, perché avevo la necessità di lasciar decantare le prime impressioni.

Quali sono gli istanti che danno forma alla nostra vita, quali volti vengono illuminati dai primi, pallidi raggi della nostra coscienza e ci danno una direzione?

Il romanzo prende le mosse dall'arrivo di Viktor Nordensson a Sunne, la cittadina svedese in cui è nato. Viktor è un musicista affermato, che si prepara a dirigere l'orchestra locale nel concerto di Bach L'oratorio di Natale, un'esibizione rimandata per anni e anni, fin da quando la morte improvvisa della nonna, Solveig, l'americana appassionata di Bach ed entusiasta della possibilità di partecipare all'opera. Il filo della narrazione, dunque, inzia a riavvolgersi dopo poche pagine, ripercorrendo gli istanti dell'improvviso incidente in cui Solveig ha perso la vita e dipanandosi poi fino all'infanzia di Viktor, che, in qualche modo, col suo ritorno a Sunne dovrà chiudere una serie di peripezie fatalmente innescate dalla scomparsa della donna. È a causa della scomparsa di Solveig che Aron, suo marito, abbandona la fattoria di campagna, inizia a lavorare come responsabile della cantina di un albergo e allaccia una strana relazione con una donna neozelandese, alla quale lo unisce la percezione di una sofferenza profonda, ma dalla quale il fantasma di Solveig, più che la distanza geografica, lo tiene separato; è a causa della scomparsa di Solveig che Sidner, il suo figlio maggiore, vaga tormentato per Sunne, costantemente preoccupato di colmare un vuoto, assalito da febbri di follia, attratto da ogni forma d'arte, desideroso di tradurre in parole la tempesta dei suoi sentimenti e poi inspiegabilmente allontanato dal suo stesso figlio. Attorno ad Aron e a Viktor si muovono tanti personaggi destinati a lasciare il segno, che fanno desiderare al lettore dei romanzi specificamente dedicati a loro: l'affascinante Fanny, titolare di una merceria e proprietaria del pianoforte con cui si esercita Sidner, il vivace affabulatore Splendid, che organizza una singolare visita al matto di Östansjö, Torin, il radioamatore Sleipner, fratello di Solveig, che introduce nel romanzo il proprio cognato, Torin, con la sua straziante storia di paternità negata, fino ad arrivare a personaggi di rilievo della scena culturale, l'esploratore Sven Hedin (che però è solo evocato), il pittore Marc Chagall e, su tutti, la scrittrice Selma Lagerlöf, originaria proprio si Sunne, che prende parte attivamente alle vicende e diventa in un certo modo la consulente letteraria di Sidner.
Come scrivevo all'inizio, mettere in ordine le impressioni generate dalla lettura di questo romanzo non è stato facile. Ad alcuni capitoli appassionanti, che avrebbero potuto far fiorire molteplici storie con un proprio centro e una propria compiutezza, dilatando ancor di più la narrazione, ne seguivano altri ecessivamente gravati dai flussi di coscienza di Sidner. Questi ultimi sono sicuramente un valore aggiunto per chi ama addentrarsi nelle pieghe e negli aspetti più contorti e problematici della psicologia, seguendoli nella prospettiva stessa di chi li vive, ma la tecnica e i suoi efetti, di per sé, non mi sono mai andati a genio.
Il mio giudizio, quindi, presenta delle ambivalenze e si attesta su un medio livello di gradimento, nel complesso quella de L'oratorio di Natale è stata una lettura piacevole, di cui ricordo soprattutto le pagine più coinvolgenti e i personaggi più curiosi.
 

Volevi sapere com'è scrivere un libro. È faticoso, ecco com'è! È come costringersi ad attraversare un deserto: vaste distese senza una sola goccia d'acqua, senza un albero sotto cui riposare. Poi però arrivi a un'oasi: lì la parola fluisce, lì ogni foglia i apre, ogni cosa vuol diventare poesia. [...] E la penna vola sulla carta, e ti ritrovi in una sorta di tropici del sentimento. E pensa a quanto un solo essere umano imprigiona nei suoi occhi, a come ogni suo gesto è carico di passato, di un futuro ignoto, e a come dolorosamente fragile è l'istante presente: come una rosa linnea tra due rocce in movimento. È quella linnea che devi fotografare. E poi questa decisione da prendere, quando la gioia di un'idea si è già trasformata in fatica e ansia: scegliere da che punto di vista scrivere. Ci si può tenere a distanza e con un cannocchiale osservarla da lontano, far scorrere avanti e indietro il suo mondo e avere davanti a sé l'intero panorama di cui essa non è che un'infima parte. La si può spiare da mezzo metro di distanza, e ne nasce un altro libro, o ci si può insinuare dentro - che è la cosa più difficile, più inquietante, perché non si può mai abbandonare un essere a metà creazione! Bisogna avvicinarsi a questo essere, al suo cuore che batte, annotare il ritmo del suo respiro, conoscere gli infinitesimali tramiti del suo volto. Del resto non so. Non ho teorie al di fuori di quel che scrivo. Ma quando scrivo so.

C.M.

Commenti

  1. Che magnifica citazione! Te la ruberò con riferimento al tuo post. Veramente bella.

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    1. La seconda è tratta da uno dei passi dedicata al cammeo di Selma Lagerlöf, che secondo me è il personaggio più riuscito del romanzo.

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