Storia, eresia e inquisizione: due romanzi

Di recente mi sono dedicata alle rilettura di due romanzi che, in un certo senso, si sono richiamati in una catena di riferimenti: il percorso nella letteratura delle origini intrapreso nella mia classe seconda, entro il quale ho presentato le caratteristiche dell'immaginario medievale, mi ha portata a Il nome della rosa di Umberto Eco, già amato ai tempi del liceo, poi l'atmosfera della narrativa storica e dei processi inquisitori mi ha fatto nascere il desiderio di riprendere La chimera di Sebastiano Vassalli, un libro che, invece, alla prima lettura mi aveva lasciata alquanto delusa; aver trovato in questo secondo romanzo una serie di riferimenti a episodi e situazioni citate anche nei Promessi sposi (anch'esso oggetto del programma di seconda) ha, per così dire, chiuso un cerchio.
 
Il nome della rosa (1980) è il romanzo più famoso e apprezzato di Umberto Eco, dal quale è stato tratto il film di Jean-Jacques Annaud con Sean Connery e più di recente una serie tv. Il racconto si presenta come un giallo storico che si consuma nel complesso di un non precisato monastero benedettino sugli Appennini toscani e che si dipana, in osservanza del più classico espediente del manoscritto, attraverso le memorie dell'ormai anziano Adso da Melk, che l'autore, nel prologo, dice di aver letto e tradotto. Ai tempi del noviziato, il giovane tedesco Adso accompagna il maestro Guglielmo da Baskerville nella sua missione di mediazione fra i francescani e altri movimenti pauperistici vicini all'imperatore Ludovico il Bavaro e il pontefice, Giovanni XXII, che, da Avignone, afferma il contrasto fra i poteri Universali a colpi di eresie e processi inquisitori. Nel complesso abbaziale, però, si è appena verificata una morte misteriosa, che potrebbe minare i colloqui fra le parti; Guglielmo inizia a indagare sull'increscioso episodio su incarico dell'abate, che spera che tutto possa risolversi prima dell'arrivo della delegazione papale, che si annuncia guidata dal temibile inquisitore domenicano Bernardo Gui. Col passare dei giorni, però, alla prima morte ne fanno seguito altre, evidentemente omicidi, e l'acuto Guglielmo, affiancato da Adso, comprende ben presto che la catena di sangue ha un legame con l'attività del prestigioso scriptorium in cui sono impegnati i monaci e soprattutto con la biblioteca, luogo al quale solo pochissimi eletti possono accedere, un vero e proprio labirinto disseminato di segreti e insidie. All'arrivo di Bernardo Gui non solo il caso non è risolto, ma l'esercizio della giustizia è assunto proprio dall'inquisitore, certo che il vizio, l'eresia e l'opera del demonio siano i veri abitatori del monastero; Guglielmo non cessa di indagare e nell'intreccio fra le questioni teologiche e universalistiche e i delitti della biblioteca si delinea la cultura medievale in tutta la sua vastità, pervsasività e ambivalenza.
Il nome della rosa è un romanzo coinvolgente, magnetico, affascinante, che trasuda cultura storica, filosofica, letteraria, artistica in ogni pagina. Ciò lo rende anche una lettura complessa in diverse sezioni, quasi traumatica in alcune pagine, infatti le digressioni teologiche e simboliche, le intrusioni del latino e alcuni dibattiti fra le diverse anime della chiesa pauperistica e la linea papale possono apparire impegnative e scoraggiare un lettore che non sia determinato ad acquisirle come parte della bellezza del romanzo; l'autore si è detto non solo consapevole di questa criticità ma fiero di averla difesa contro tutti gli interventi editoriali, facendone proprio il tratto caratteristico del libro: la pesantezza delle prime cento pagine è, per ammissione dello stesso Eco, lo scoglio attraverso il quale costruire il lettore adatto per quelle che seguiranno (per comprendere questo e altri aspetti del romanzo sono fondamentali le postille del 1983).
 
Più breve ma non per questo più leggero è La chimera di Sabastiano Vassalli (1990), ambientato nel paese scomparso di Zardino, fra il 1590 e il 1610. Fin dalla premessa si dichiara l'intenzione di ricostruire la vicenda di Antonia, la strega di Zardino, che, dalle carte reperite dall'autore, risulta essere stata processata a Novara nel 1610. Antonia è una giovane esposta, abbandonata come tanti bambini e tante bambine dai genitori, presso il torno della Casa di Carità si San Michele; molti di questi infanti sono figli di soldati di passaggio e delle prostitute che affollano la zona e la loro speranza è quella di essere scelti da famiglie alla ricerca di manodopera; le ragazze possono solo sperare di essere robuste, laboriose, oneste e soprattutto brutte, così da essere selezionate per accudire i malati e gli anziani. Antonia, però, ha la sventura di essere bella, quindi inadatta ad essere scelta e, dopo la sua adozione da parte dei coniugi Nidasio, destinata a subire di continuo le occhiatacce e i pregiudizi della comunità di Zardino. Colpevole al massimo di qualche fuga notturna per incontrare il suo moroso, Antonia viene presto accusata di essere portatrice del fascino del demonio, di incontrarsi sotto un albero per unirsi carnalmente con lui, di offendere e osteggiare il clero, di partecipare ai sabba, di essere la responsabile di tutto ciò che di brutto accade al paese, ad esempio della tremenda siccità che lo attanaglia. Episodi insignificanti o del tutto inventati, le vessazioni del parroco di Zardino, don Michele, troppo occupato a imporre divieti e nuove tasse a favore della chiesa, l'ignavia del vescovo Bascapé, l'ignoranza e l'odio conducono Antonia di fronte al tribunale dell'Inquisizione, all'incarcerazione, alla tortura, all'inevitabile quanto falsa confessione.
Il narratore adotta un punto di vista esterno alle vicende, quasi verista: pratica una forma di regressione che mostra lo spontaneo sorgere e costruirsi delle credenze, delle superstizioni, di un disegno di ostilità che ricorda quello che Manzoni ha dedicato al dilagare della credenza del pericolo rappresentato dagli untori nella Milano dello stesso secolo. La fluidità e il fascino tipici dei romanzi cedono spesso alla sensazione di un documentario, complice la scelta di Vassalli di non intessere dialoghi o scene particolarmente coinvolgenti dal punto di vista emotivo e di costruire, in alternanza al procedere delle vicende di Antonia, digressioni dedicate ai grandi personaggi storici del periodo.
 
Al termine della lettura di questi due romanzi storici si realizza cosa abbia rappresentato davvero il fenomeno della caccia agli eretici, solo una delle tante manifestazioni di pregiudizi e odio tradottesi in violenza e morte. Al di là delle vicende molto diverse, il lettore può cogliere fra le pagine di Eco e di Vassalli dei richiami, comprendere l'articolata costruzione con cui si può motivare la persecuzione e la morte di persone innocenti, facendo leva su uno studiato connubio di ignoranza e abusi culturali. Insieme a Q questi due romanzi potrebbero costruire una sorta di trilogia dell'Inquisizione, entro la quale il romanzo del collettivo Luther Blisset e quello di Eco dialogherebbero anche sul tema del libro e della sua divulgazione. Ma questa è un'altra storia e magari ne parleremo in un altro momento.

C.M.

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