Jojo Rabbit (Taika Waititi, 2019)

Qualche giorno fa ho recuperato un film che mi proponevo di vedere da tempo, Jojo Rabbit, diretto da Taika Waititi. La pellicola, liberamente tratta dal romanzo Come semi d'autunno di Christine Leunens (2008), si presenta come una narrazione satirica sul regime hitleriano e la narrazione cinematografica è condotta, pertanto, con un registro comico-grottesco, che non cancella però la crudezza della situazione rappresentata.
 

Facciamo la conoscenza di Johannes, detto Jojo Roman Griffin Davis), quando, al compimento dei dieci anni, entra a far parte della gioventù hitleriana: è un traguardo che lo fa sentire un vero Tedesco coinvolto nella causa nazionale e che gli vale l'incondizionata approvazione di Adolf Hitler, o, per meglio dire, della versione del dittatore che gli appare come amico immaginario (Taika Waititi). Mentre si trova al campo di addestramento, Johannes, accusato di vigliaccheria, si vede affibbiato l'appellativo di Jojo Rabbit e, per riscattarsi, si getta in un immaginario assalto con una vera bomba a mano, che, però, esplode vicino a lui. Sfigurato e azzoppato, Jojo è ricollocato, anche grazie all'intervento della madre Rosie (Scarlett Johansson), nelle linee tedesche con mansioni di supporto. Sognando di poter tornare ad essere il perfetto servitore del Reich, Jojo si trascina in un'avvilente successione di incarichi per le strade, come la distribuzione di volantini di propaganda e la raccolta di metallo. Un giorno, rientrato a casa in assenza della madre, Jojo avverte dei rumori e, cercandone la fonte, si imbatte in Elsa (Thomasin McKenzie), una ragazza che vive nascosta in una nicchia ricavata nelle pareti della stanza della sorella Inge, morta da qualche tempo. Jojo capisce subito di avere in casa una nemica, un esemplare di quella pericolosissima razza ebraica che ha imparato a conoscere grazie agli avvertimenti del regime, ma è la stessa Elsa ad avvertirlo che, se la denuncerà, metterà in pericolo se stesso e sua madre. Imbevuto di propaganda, Jojo decide di sfruttare la convivenza coatta, sfruttando Elsa per conoscere meglio il nemico e scrivere un libro a beneficio di tutti gli ariani, che potranno così distinguere gli ebrei e, quindi, difendersi dalla loro malvagità. Ciò che, però, Jojo non prevede, è che Elsa possa trasformarsi, ai suoi occhi, in un essere umano e che, con lei, tutto il mondo che lo circonda possa assumere tratti ben diversi.
Come scritto in apertura, il registro della narrazione è leggero, ironico, costruito sul gioco dell'approvazione al regime ai fini di produrre uno straniamento umoristico. Al di là di questa patina, la regia e le scene più profonde, quelle fra Jojo e Rosie e fra Jojo e Elsa, che rappresentano in tutte le forme l'incontro di un bambino con l'altro (il femminile, l'adulto, il diverso), fanno emergere tutta l'assurdità di una propaganda fondata sull'odio e capace di generare ondate di morte sia fra coloro che ne rappresentano il bersaglio sia fra coloro che se ne fanno, con diversi gradi di consapevolezza, strumento. Jojo Rabbit è quindi un film capace di veicolare messaggi pregnanti e irrinunciabili che, lungi dall'essere circoscrivibili al passato rappresentato, sono sempre attuali. Mette in guardia, con un tono che lo rende facile da vedere e rivedere, contro i pregiudizi, le semplificazioni, le grida, i facili assensi, l'indifferenza, la sacralizzazione delle presunte verità.

C.M.

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