Le Cosmicomiche (Italo Calvino)

Quest'anno che ricorre il centenario della nascita di Italo Calvino ho deciso di affrontare la lettura di un testo che prometteva di esulare dalla mia comfort zone: la raccolta dei racconti delle Cosmicomiche (1965). Si tratta di dodici racconti-descrizione, in cui i due aspetti tendono a confondersi. Ciascuno di essi è ispirato alla lettura di una teoria scientifica: lungi dall'essere classificabili, come erroneamente spesso accade, come fantascienza, questi quadretti non proiettano ad un futuro tecnologico, ma, semmai, al passato dell'origine dell'universo e ad ere ormai dimenticate in cui la distanza fra i corpi celesti era molto ridotta e l'essere era un gran calderone ribollente.
A unire i racconti è la voce di un vecchio saggio, Qfwfq, testimone di questo passato dimenticato, memore dei tempi in cui si poteva salire sulla luna con una scala, del dominio dei dinosauri e del momento in cui la vita cominciò a diffondersi fuori dall'acqua. Questo personaggio indefinibile esisteva quando tutta la materia era riunita in un punto ed esiste nell'epoca moderna, ricorda l'estrazione del latte di luna, le scommesse sulle probabilità del verificarsi di un certo evento nel volgere dei millenni, le partite a bilie con gli atomi.
Stringendo con il lettore un patto narrativo che obbliga alla sospensione di qualsiasi possibilità di figurarsi l'inimmaginabile, anche in questo scritto, come accadrà ne Le città invisibili, Italo Calvino dà prova del suo talento caleidoscopico, dell'ineguagliabile capacità di giocare narrativamente sulle possibilità di un mondo in trasformazione, sulla suggestione delle novità scientifiche a proposito dell'infinitamente grande e dell'infinitamente piccolo.
In una raccolta labirintica, a tratti cervellotica, si distinguono dei veri e propri gioielli: La distanza dalla luna, I Dinosauri, Tutto in un punto, Lo zio acquatico. Nel complesso è una lettura che merita, anche se, a mio avviso, Calvino ha dato il meglio in altri testi: come sapete se mi seguite da un po', preferisco sempre i romanzi ai racconti, ma anche limitando alla narrativa breve il mio giudizio ho trovato altrove il meglio di Calvino, ad esempio ne Il castello dei destini incrociati, in Marcovaldo o nelle stesse Città invisibili.

Esatto, quel tempo là ci si impiega, mica meno, - disse Qfwfq, - io una volta passando feci un segno in un punto dello spazio, apposta per poterlo ritrovare duecento milioni d'anni dopo, quando saremmo ripassati di lì al prossimo giro. Un segno come? È difficile da dire perché se vi si dice segno voi pensate subito a un qualcosa che si distingue da un qualcosa, e lì non c'era niente che si distinguesse da niente. [...] La forma da dare al segno, voi dite non è un problema perché qualsiasi forma abbia, un segno basta serva da segno, cioè sia diverso oppure uguale ad altri segni: anche qui voi fate presto a parlare, ma io a quell'epoca non avevo esempi a cui rifarmi  per dire lo faccio uguale o lo faccio diverso, cose da copiare non ce n'erano, e neppure una linea, retta o curva che fosse, si sapeva cos'era, o un punto, o una sporgenza o rientranza.

C.M.

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