Vero è che Dante entra nella selva perché disorientato dal peccato, che deve essere affrontato a mente lucida per comprendere l'errore e solo successivamente letto attraverso l'anelito alla purificazione possibile solo attraverso la fede in Dio; vero è anche che le tre fiere da cui Dante viene salvato proprio grazie all'intervento dell'autore dell'Eneide rappresentano tre forme di devianza da cui la ragione può tenere lontano l'uomo.
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William Blake, Dante e Virgilio nella selva |
Virgilio è, prima di tutto, una guida letteraria per Dante che, scrivendo la Commedia, si confronta consapevolmente con i registri stilistici comico/basso, elegiaco/medio, sublime/elevato riscontrabili, rispettivamente, nelle Bucoliche, nelle Georgiche e nell'Eneide, ma che, allo stesso tempo, sa di essere un novello Virgilio nel regalare alla propria tradizione letteraria del proprio popolo un'epopea in cui si rispecchia un'intera civiltà. La Commedia, insomma, è una nuova Eneide, e il suo protagonista un nuovo Enea. Dante ed Enea sono, del resto, accomunati proprio dalla missione della catabasi, ed è ben noto che le rappresentazioni letterarie e artistiche dei viaggi oltremondani nell'occidente latinizzato derivano dalla lettura del canto VI dell'Eneide, e non dall'XI dell'Odissea, modello di Virgilio.Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore,
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
lo bello stilo che m’ha fatto onore.
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Andrea del Castagno, La sibilla cumana (1450) |
Vediamo dunque di capire il perché di questa definizione, premettendo che, in ogni parte della Commedia, l'insegnamento antico (che sia di Virgilio, Stazio o altri autori) si intreccia in maniera continua con citazioni bibliche, a segnalare la duplice ispirazione del poema. I rimandi a Virgilio si colgono già nel canto I, poiché anche l'ingresso nell'Averno si colloca presso una selva, e in essa si inoltra anche Enea.
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Nicolò dell'Abate, Enea scende all'Averno (1543) |
Movimento 2 (vv. 22-81). Appena oltre la porta infernale, Dante si imbatte in una schiera di dannati talmente vergognosa da non avere neppure accesso all'Inferno, poiché le è negato l'attraversamento dell'Acheronte. Sono i pusillanimi, coloro che in vita non scelsero né il Bene né il Male e che, dunque, sono rifiutati anche da Lucifero. Ciò che di loro si manifesta in primo luogo al poeta, tuttavia, non è il loro sembiante o il contrappasso cui sono sottoposte, bensì lo strepito che esse levano, un rumore assordante in cui si mescolano pianto, grida, bestemmie e rantoli (vv. 22-33):
La descrizione del clamore dell'Antinferno e la richiesta di Dante sono chiaramente ricalcate sui vv. 557-561 del canto VI dell'Eneide:Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l’aere sanza stelle,
per ch’io al cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d’ira,
voci alte e fioche, e suon di man con elle
facevano un tumulto, il qual s’aggira
sempre in quell’aura sanza tempo tinta,
come la rena quando turbo spira.
E io ch’avea d’error la testa cinta,
dissi: «Maestro, che è quel ch’i’odo?
e che gent’è che par nel duol sì vinta?».
Dante, tuttavia, asporta i versi virgiliani nell'Antinferno, mentre il poeta mantovano li colloca oltre l'Acheronte, dopo il passaggio attraverso i Campi del Pianto dove Enea ha incontrato lo spirito inquieto di Didone; questa scelta è dovuta ad una diversa caratterizzazione dell'Antinferno, che in Dante ospita i pusillanimi, mentre per Virgilio è dimora degli spiriti dei morti insepolti, come Palinuro, che non subiscono strazio alcuno.Hinc exaudiri gemitus et saeva sonare
verbera, tum stridor ferri tractaeque catenae.
Constitit Aeneas strepituque exterritus haesit:
«Quae scelerume facies? O virgo, effare; quibusve
urguentur poenis? Quis tantus plangor ad auras?»
Di qui s'udivano gemiti, e fruste fischiare
feroci, e stridore di ferro e trascinate catene.
Enea s'arrestò, esitava, sgomento allo strepito:
«Che delitti laggiù? Dimmi, o vergine, e quali
pene li straziano? Perché tanti gemiti nell'aria?»
Come sappiamo, sui pusillanimi, per volere di Virgilio, cade una pesante censura: essi vengono descritti rapidamente, ma il poeta intima «non ragioniam di lor, ma guarda e passa» (v. 51), e i due viandanti, dopo uno sguardo pietoso, si appressano ben presto ad un altro gruppo di anime che si assiepa lungo le rive dell'Acheronte. Qui Dante non può trattenere l'ennesima domanda: «Maestro, or mi concedi / ch’i’ sappia quali sono, e qual costume / le fa di trapassar parer sì pronte, / com’io discerno per lo fioco lume», citando ancora una volta l'interrogativo posto da Enea alla Sibilla «Dic, ait, o virgo, quid volt concursus ad amnem? / Qudve petunt animae?» (vv. 318-319, «Dimmi, vergine, chiese, perché questo correre al fiume? / Che cercano l'anime?»).
Movimento 3. È la parte più nota del canto dantesco, quella con il personaggio più particolare, Caronte. Figura in gran parte ripresa da Virgilio, si presenta come un vecchio pronto a minacciare Dante, rifiutandosi di portarlo con la propria barca oltre l'Acheronte. Egli è un «traghettatore orrendo» («portitor horrendus» in Aen. VI, 298), con la barba incolta che gli scende dal mento («cui plurima mento / canities incluta iacet» di Aen. VI 300 e «un vecchio bianco per antico pelo» e con «lanose gote» in Inf. III, 83 e 97) e gli occhi fiammeggianti («stant lumina flamma» di Aen. VI, 300 e «che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote» in Inf. III, 99).
Caronte ha il compito di far salire le anime sulla sua barca, sicché queste si accalcano addosso al legno con una foga che porta Virgilio a descriverle con una similitudine molto particolare (Aen. VI, vv. 309-314):
E tali versi non mancano di affascinare Dante (Inf. III, vv. 112-120):Quam multa in silvis autumni frigore primo
lapsa cadunt folia, aut ad terram gurgite ab alto
quam multae glomerantur aves, ubi frigidus annus
trans pontum fugat et terris inmittit apricis.
Stabant orantes primi transmittere cursus
tendebantque manus ripae ulterioris amore.
Tante così nei boschi, al primo freddo d'autunno,
volteggiano e cadono foglie, o a terra dal cielo profondo
tanti uccelli s'addensano, quando, freddo ormai, l'anno
di là dal mare li spige verso le terre del sole.
Stavano là, pregando sì'essere i primi a passare,
e tendevan, pre brama dell'altra riva, le mani.
Come d’autunno si levan le foglie
l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo
vede a la terra tutte le sue spoglie,
similemente il mal seme d’Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
per cenni come augel per suo richiamo.
«Quisquis es, armatus qui nostra ad flumina tendis,
fare age, quid venias, iam istinc, et comprime gressum.
Umbrarum hic locus est, Somni Noctisque soporae;
corpora viva nefas stygia vectare carina»
«Chiunque tu sia, che tendi armato alle nostre correnti,
parla subito, e di'perché vieni, e ferma il tuo passo.
Dell'Ombre qui è il luogo, del Sonno e della soporifera Notte;
vietato è portar corpi vivi sullo stigio traghetto.»
E proprio questa opposizione di Caronte ha generato grossi dubbi sul modo in cui Dante oltrepassa l'Acheronte: in entrambi i poemi alle minacce del traghettatore segue l'ordine perentorio delle guide oltremondane (la Sibilla e Virgilio rispettivamente) affinché egli non si opponga a ciò che altre divinità hanno stabilito, ma, mentre assistiamo alla salita di Enea sulla zattera, che imbarca acqua per il peso di un vivo come farà quella di Flegias in Inf. VIII, quella di Dante non è descritta. Questa discrepanza ha indotto alcuni critici, come Bosco e Reggio, Chiavacci Leonardi e Ronconi stesso, a ipotizzare una diversa modalità di passaggio di Dante dall'Antinferno al Cerchio I e altri, fra cui R. Hollander, a proseguire nel parallelismo, sostenendo che tante consonanze fra i due canti non possono ammettere uno sviluppo troppo diverso, che forse Dante avrebbe omesso per non riempire l'Inferno di scene di attraversamenti fluviali; inoltre, a sostenere questa seconda osservazione, c'è la perentoria chiusa di Virgilio, che fa ammutolire Caronte invocando Dio con la formula «Caron, non ti crucciare: / vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare» (vv. 94-96): pensare che chiamare in causa la Giustizia che domina anche sugli Inferi non basti a far desistere il traghettatore dalla sua ostilità sarebbe quasi sacrilego nell'economia dell'oltretomba dantesco.«E tu che se’ costì, anima viva,
pàrtiti da cotesti che son morti».
Ma poi che vide ch’io non mi partiva,
disse: «Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
più lieve legno convien che ti porti».
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Michelangelo Buonarroti, Giudizio Universale |
Tanti rimandi, dunque, e particolarmente concentrati in questo canto, come se Dante avesse avuto l'urgenza di celebrare colui che due canti prima ha chiamato maestro. Ma la materia del canto VI dell'Eneide è troppo vasta per essere compressa in uno dantesco, perciò molte citazioni travalicano i limiti dell'Acheronte e si raggrumano all'inizio del canto V e VI, dove appaiono Minosse e Cerbero, guardiani dei cerchi II e III. L'eco dell'Eneide, comunque, riemerge costantemente nell'Inferno, lasciando percepire l'importanza del magistero virgiliano nella costruzione della Commedia e la necessità di vedere nel poeta mantovano qualcosa più che un'allegoria, tanto più che l'unico canto in cui la sua presenza è adombrata è il XV, dove Dante incontra Brunetto Latini, il suo altro maestro.
C.M.
Ho fatto un salto nel tempo di circa 20 anni, quando studiavo al liceo (classico). Il termine catabasi mi ha fatto sobbalzare!
RispondiEliminaMi viene voglia di riprendere tutti gli studi classici, per riammorbidire la mia vena ingegneristica...
Alla catabasi (o, meglio, alle catabasi) vorrei dedicare presto un articolo specifico, quindi ti darò l'occasione di una nuova immersione nel vissuto liceale! :)
EliminaEsiste, in tutta la storia dell'umanità, poeta più immenso di Dante? La mia riposta è: assolutamente no. Tra qualche giorno l'università della mia città riprenderà, come ogni anno, La settimana degli studi danteschi, dedicata quest'anno al V canto dell'Inferno. Non vedo l'ora.
RispondiEliminaAnche nella mia Verona si organizzano spesso manifestazioni dedicate a Dante, in particolare quest'anno per i 750 anni dalla nascita. Peccato che siano sempre in orario di lavoro!
EliminaPensa che io mi porto dietro la definizione di Enea come "figlio d'Anchise" fin da quando avevo forse sei anni. In quell'epoca lontana mio zio mi recitava a memoria parti dell'Inferno.
RispondiEliminaQuesta sì che è stata un'educazione sana e solida!
EliminaNe ho approfittato solo in parte, però ;D
EliminaPazienza, direi che vai comunque alla grande! ;)
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