Tutto il cielo che serve - Franco Faggiani

Basta guardare le copertine dei suoi romanzi per pensare a Franco Faggiani come ad un narratore della montagna: la sua passione per le escursioni, i luoghi naturali e i loro equilibri si nota nel grande peso che assumono i paesaggi, la roccia, la neve nelle sue storie, dove rappresentano interlocutori necessari dei protagonisti. L'immersione nella natura è un'occasione di scoperta di se stessi o di comprensione di un rapporto con l'altro, è la ricerca di una necessaria solitudine che prelude ad una rivelazione, a un cambiamento, alla conquista di una radicata consapevolezza.
Dopo La manutenzione dei sensi, Il guardiano della collina dei ciliegi e Non esistono posti lontani, l'autore ha pubblicato con Fazi, nell'ottobre del 2021, Tutto il cielo che serve, un romanzo che affonda le basi nel tragico evento del terremoto di Amatrice del 2016.
La protagonista, Francesca Capodiferro, è una geologa caposquadra dei vigili del fuoco di Roma chiamata sull'Appennino per alcune rilevazioni: si sospetta che le alture siano in movimento ma che i dati raccolti siano viziati da una strumentazione insufficiente o disposta in modo non adeguato. Francesca si avventura fra i boschi e i sentieri con i suoi due cani, addestrati l'uno nella ricerca di dispersi e l'altro in quella dei morti; proprio mentre è accampata sotto un cielo stellato, avverte il terremoto. Si precipita in direzione dei borghi colpiti ed è fra i primi soccorritori che giungono ad Amatrice; qui inizia subito a coordinare dei gruppi di volontari, ragazzi che, scrollatisi di dosso il trauma iniziale, si mettono in azione per radunare i feriti e allestire un punto di raccolta, poi viene raggiunta da diverse squadre e si ricongiunge con i suoi vigili del fuoco. Francesca e i colleghi sono infaticabli, anche se qualcuno di loro non tollera ricevere ordini da una donna, ma lei è sempre in azione, determinata, talvolta anche troppo, perché ha scarsa percezione dei limiti e sottovaluta la stanchezza che rischia di toglierle lucidità. Francesca ha scelto un lavoro del quale la sua agiata situazione economica le permetteva di fare a meno: nel soccorrere gli altri, nell'operare con gli altri Francesca trova un necessario appagamento, eppure è anche una persona che ama coltivare momenti di solitudine, come dimostra la sua scelta di tornare, nei mesi successivi al sisma, fra le borgate in cui potrebbero esserci dispersi e morti mai registrati o in cui ci sono edifici pericolanti in cui la vita continua a scorrere nell'inconsapevolezza dei rischi a lungo termine. In questo raccoglimento Francesca trova se stessa al di fuori del gruppo, delle disposizioni e dei tempi del lavoro, misura la dimensione del proprio sforzo e il peso degli interventi gratuiti, ma soprattutto impara a percepire il senso di mancanza che restutuisce un valore a ciò che comunemente non si riesce a vedere.
Tutto il cielo che serve incatena il lettore con la consueta magia delle descrizioni cui Franco Faggiani lo ha abituato: la prosa limpida, garbata e precisa fa scorrere elegantemente il racconto fra Roma e gli Appennini e dipinge scenari mozzafiato, provocando un'immersione nella natura evocata. Quello che lo rende meno pregnante rispetto ai romanzi precedenti, in particolare i primi due (probabilmente insuperabili), è l'evoluzione della protagonista attraverso le esperienze che affronta. Ne La manutenzione dei sensi l'approfondimento caratteriale di Leonardo e Martino si realizzava nel confronto fra i due o fra loro, la montagna piemontese e i personaggi minori; ne Il guardiano della collina dei ciliegi era reso possibile da un intenso dialogo spirituale di Shizo Kanakuri con se stesso, con i kami del bosco, con il vissuto familiare, con l'energia liberata nella corsa. Qui manca un aggancio che permetta di svolgere il filo dell'interiorità di Francesca, che si avverte solo se lei spiega se stessa direttamente: Francesca si racconta ma non si mostra, dipendiamo troppo dalle sue parole per conoscerla e questo mi ha reso lei e la sua storia meno vicine rispetto alle precedenti; forse sarebbe servito qualche capitolo in più o qualche stacco temporale in meno per sviluppare qualche particolare che rimane forse implicito o, perlomeno, non così evidente quanto risulta dalla sinossi di copertina.
In ogni caso Tutto il cielo che serve si è rivelata una lettura piacevole, un'escursione leggera fra le montagne, sulla roccia e in mezzo ai boschi. La natura, la montagna e il suo respiro dominano su tutto, ricordando quanto piccolo e fragile sia l'essere umano di fronte alla sua bellezza ma anche alla sua forza e si presenta come un gigante spaventoso ma anche, ancora una volta, come un rifugio dell'anima.

Rimasi lì a lungo, fin quando le folate aumentarono ancora di intensità e poi cessarono di colpo, come se avessero cambiato improvvisamente rotta. Mi infilai nel sacco a pelo e lasciai il telo d'ingresso della tenda aperto, così potevo continuare a guardare fuori. Spesso, in quei frangenti, avvertivo la solitudine, ma il più delle volte, come pure in quel caso, ero contenta di affrontarla, di possederla o almeno di comprenderla, visto che nessuno o quasi la ama. In cima alla montagna c'eravamo io, un pezzetto di terra su cui sdraiarsi e tutto il cielo immenso, dove veleggiavano nuvole e stormi di uccelli, minuscoli semi e foglie leggere, pensieri lievi come piume. Potevo essere ovunque nel mondo o in nessuna parte, e questo mi dava una profonda sensazione di libertà. Quella intima, tutta mia, da non condividere mai con nessuno.

C.M.

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