Cenere - Grazia Deledda

Nel chiudere l'esperienza di rilettura di Canne al Vento, avevo promesso di approfondire la lettura dei romanzi di Grazia Deledda. Me lo ha permesso la ripubblicazione di Cenere da parte della casa editrice Utopia, che ha fatto tornare l'unica scrittrice italiana premio Nobel in un mercato nel quale ha sempre avuto una presenza altalenante e perlopiù limitata ai titoli principali.
 
 
Scritto nel 1903, il racconto ha per protagonista Anania e, come un'entità dalla quale non può staccarsi, sua madre Olì. Anania è nato a Fonni dalla passione della giovanissima Olì per un lavoratore di Nuoro, Anania Atonzu, ma questi è sposato e la maternità al di fuori del matrimonio è per Olì lo stigma della perdizione. Olì è cacciata di casa e trova rifugio presso la vedova Grathia e Anania cresce in compagnia di Zuanne, suo figlio, finché Olì non prende la difficile decisione di portarlo a Nuoro con un amuleto al collo e con la speranza che il padre lo cresca con migliori possibilità di quelle che potrebbe garantirgli lei. Infatti Anania viene riconosciuto come figlio ed è amorevolmente accolto da Tatàna, la moglie del padre, inoltre gli fa da padrino il datore di lavoro del genitore, il signor Carboni. Grazie a questo sostegno Anania può studiare, frequentare il liceo e il corso di laurea in legge, prima a Cagliari e poi a Roma, nutrendo nel frattempo un amore totalizzante per la figlia di Carboni, Margherita, che lo ricambia fin dall'inizio. Ma più accarezza la speranza di un matrimonio con Margherita, più il ragazzo è tormentato dal ricordo della madre. Nei confronti di Olì Anania nutre sentimenti contrastanti: da un lato il rancore per un abbandono a cui però Anania deve la stessa possibilità di ascesa sociale e di felicità che gli si prospetta davanti, dall'altro la sensazione di doversi fare carico del riscatto della madre, che la spinge a cercarla; al tempo stesso si chiede se Margherita sarà in grado di accettare che della sua vita faccia parte una donna sciagurata, su cui grava un peccato che agli occhi della società rurale nuorese appare imperdonabile.
Cenere è, come Canne al vento, un romanzo che emerge dalla patina verista con la forza travolgente di un moderno romanzo psicologico. Anania è l'unico perno di una vicenda in cui Olì è poco più che una proiezione, un fantasma che col suo passato determina la percezione che il ragazzo ha di sé e del proprio futuro. Lo scavo di Grazia Deledda nei meandri di un'anima sconquassata dal bisogno rabbioso di avere una madre e dal terrore che salvare quella madre sia impossibile è di una potenza travolgente, il modo in cui quest'anima dialoga con il paesaggio sardo commovente.
Sebbene preceda di dieci anni Canne al vento, Cenere presenta un ritmo narrativo più sostenuto, compattato intorno alla figura di Anania (rispetto alla coralità del romanzo successivo), inoltre sfrutta le potenzialità della narrativa di formazione e di un lascito di ispirazione romantica che si fa sentire anche nelle rimembranze letterarie.
Per questo e per la sua prosa sciolta, grazie alla quale l'individuo e il paesaggio della sua vita si fondono in un unico grande personaggio che trasuda l'eredità di un microcosmo sociale e di una dimensione culturale dominata da una cupa percezione della colpa e della redenzione, Cenere mi ha appassionata più di Canne al vento e conferma la necessità di una maggior valorizzazione di Grazia Deledda.

Di tanto in tanto avveniva una specie di vuoto nella sua mente; stanco di tormentarsi, allora egli vagava col pensiero dietro visioni estranee al crudele problema che lo urgeva: la voce del mare gli pareva il muggito di mille tori cozzanti invano contro la scogliera; e per contrapposto pensava ad una foresta scossa dal vento e inargentata dalla luna, e ricordava i boschi dell'Orthobene dove tante volte, mentre egli coglieva viole, il rumore del vento sugli elci gli aveva dato appunto l'illusione del mare. Ma all'improvviso il crudele problema tornava.

C.M.

Commenti

  1. Leggendo il tuo post ho rivissuto le sensazioni che mi ha donato questo romanzo. Non avevo letto ancora nulla di Deledda (e ancora manca all'appello lo stesso Canne al vento, che recupererò prima o poi) e l'esperienza di lettura mi ha svelato una scrittrice meritevole di molto più spazio nel novero della grande narrativa italiana del Novecento, come tu stessa scrivi.
    Deledda non è mai banale, non cede al facile romanticismo, anche sull'amore più profondo pende il peso del destino, qui sostanziato nella disperante ricerca di sé da parte di questo giovane uomo. Vi ho colto anche qualcosa di inevitabile, storie sofferte che non possono avere un lieto fine, esattamente come detta la grande letteratura verista.

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    1. Sì, su Anania e su sua madre pesa questa sorta di fato, di preordinato, che richiama da un lato il senso della tragedia dall'altro i condizionamenti veristi, seppure su un piano che si delinea a partire da un senso religioso e morale, più che da circostanze materiali. Nell'affrontare, di necessità brevemente, Deledda con la mia quinta ho parlato della sua narrativa come di una "via" particolare del Decadentismo e la lettura di questo romanzo mi ha confermata nella mia idea.

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  2. Ho letto "Canne al vento" e "Marianna Sirca", li ho amati tantissimo entrambi, devo assolutamente recuperare anche questo "Cenere"! Grazie per la recensione!

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    1. Continuerò anch'io nel mio percorso con Grazia Deledda, magari proprio col titolo da te suggerito. Grazie a te!

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